Anita Garibaldi? Strangolata. E Peppino…

La fisction Anita Garibaldi trasmessa dalla RAI in un clima edulcorato e agiografico è stata ancora una volta un’occasione mancata per raccontare verità, anche se circoscritte nel contesto della storia d’amore tra Garibaldi ed Anita, che ci sono state sempre negate dalla storiografia risorgimentale .
Il regista della fisction Claudio Bonivento, per decenza e per rispetto verso se stesso e i telespettatori, avrebbe fatto bene, documentandosi, a leggere le stesse memorie di Garibaldi per capire che molte di quelle cose che ci ha propinato per due serate consecutive non rispondevano alla verità degli avvenimenti che caratterizzarono l’incontro tra Garibaldi ed Anita: incontro che avvenne in maniera molto diversa da quanto proposto in TV. E poi il ruolo, travisato anche questo, avuto da Manuel Duarte, il marito di Anita che fu la vera vittima della tresca tra il nizzardo e la sua amorosa e nient’affatto il manesco e cattivo figuro rappresentato nella fiction. Ed infine il giallo della morte della stessa Anita, avvenuta il 4 agosto del 1849 alla fattoria delle Mandriole nei pressi di Ravenna.
Un giallo del tutto ignorato dal regista. Ancora una volta, sono stati occulti fatti e avvenimenti, nel solco di una storiografia ufficiale e di maniera tesa a nascondere la verità. Un modo sbagliato di raccontare la storia del nostro Paese. Bugie che ci portiamo dietro da 150 anni.  Alla fine, ai telespettatori, non è stato proposta la vera realtà dei fatti  per non intaccare la ‘mitica’ figura che è stata costruita attorno all’ ‘eroe dei due mondi’.  E proprio per sfatare le falsità proposte nella fiction val bene, per rispetto e per amore della verità, riportare, attingendo dalle memorie stesso Garibaldi, come si svolsero realmente i fatti e gli avvenimenti che riguardarono l’avventurosa e breve esistenza di Anita Garibaldi e, in particolar modo, le ombre (tante) e le luci (poche) che segnarono gli avvenimenti e i personaggi della tragica fine di questa donna.
E’ del 1838, in Sud America, l’incontro tra Ana de Jesus Ribeiro da Silva detta Aninha e Giuseppe Garibaldi, che la dice tutta su questo gentiluomo e “sciupafemmine” senza scrupoli. È lui stesso, nelle sue memorie, a raccontare dettagliatamente dell’incontro, avvenuto nell’ottobre del 1838 con la donna che poi lo seguirà per undici anni nella sua avventurosa esistenza, condividendo le sue peripezie prima di finire abbandonata, morente, in fuga dagli austriaci nella pineta di Ravenna. “Passeggiavo sul cassero della mia nave – ricorda il nizzardo – perso nei miei cupi pensieri. A un tratto, posai lo sguardo all’ingresso della Laguna dove vi erano alcune pittoresche e semplici abitazioni. Puntando il cannocchiale, che abitualmente tenevo a portata di mano quand’ero sul cassero, vidi una giovane e ordinai che mi portassero immediatamente a terra in quella direzione. Appena sbarcato, mi diressi dove avrebbe dovuto essere la meta del mio viaggio. Ma non trovai nulla. Per caso, incontrai un abitante del luogo, che avevo conosciuto subito dopo il mio arrivo in città (si trattava di Manoel Duarte, il legittimo marito di Anita) e egli mi invitò a prendere un caffè a casa sua. Entrammo e la prima persona che vidi era la donna che mi aveva spinto a sbarcare. Era Anita. Restammo affascinati, guardandoci come persone che non si vedono per la prima volta e che cercano, sul viso dell’altra, qualcosa che aiuti a ricordare. La salutai e le dissi: devi essere mia (coupe de foudre, da vero tombeurs des femmes). Parlavo poco il portoghese e pronunciai in italiano queste parole impertinenti. Comunque, la mia insolenza fu magnetica. Avevo stretto un nodo, una sentenza che solo la morte poteva distruggere. Se vi fu colpa, fu interamente mia. E vi fu colpa. Due cuori si univano e si annientava l’esistenza di un innocente. Ora lei è morta, io sono infelice e lui è vendicato. Così capii il male che avevo fatto”.
Una confessione postuma, nelle sue memorie, di colpevolezza e di rimorso nei confronti di Anita ma, soprattutto, nei confronti dell’incolpevole marito. Che fine abbia fatto Manoel Duarte non si sa. Qualcuno azzardò a dire che, per non essere d’ingombro, lo sfortunato marito fu eliminato. A rafforzare questa tesi, la testimonianza postuma di un discendente del marito tradito, Taciano Barreto Nascimento, che così riferisce nel 1935 a proposito delle memorie della sua famiglia: “Anita, sposatasi con Manoel, andò a vivere in casa del bisnonno, Joao Duarte, sulla collina di Barra, di fronte al molo dove ancoravano le navi dei farrapos. Garibaldi, frequentando la casa dei Duarte, conobbe Anita e se ne innamorò. Il marito di Anita fu arrestato dai soldati di Garibaldi e quest’ultimo si impossessò della ragazza con la quale già amoreggiava. (Sarebbe stato opportuno che il regista Bonivento si fosse opportunamente documentato leggendo le memorie di Garibaldi anziché, rappresentando una sua personale verità, prendere, come usualmente si dice, “cantonate di petto”).
L’ ‘eroe dei due mondi’, secondo la versione del discendente del legittimo marito, s’era impegnato a liberare il Duarte ma, a quanto pare, i soldati lo avevano già ucciso. All’atto del matrimonio, celebrato a Montevideo il 26 marzo 1842, Aña Maria de Jesus Ribeiro da Silva, stranamente, risultava nubile. Dall’unione con Anita, Garibaldi ebbe quattro figli: Menotti, Rosita (morta a 2 anni), Teresita e Ricciotti. Ma, se un alone di dubbio e mistero caratterizzò l’incontro tra Garibaldi e Anita a proposito della scomparsa del suo marito legittimo, ancora più di giallo si tinge la morte della stessa Anita avvenuta il 4 agosto del 1849.
Garibaldi, in fuga dalla Repubblica Romana e inseguito dalle truppe austriache e papaline, ai primi di agosto, lasciata San Marino con i pochi uomini che gli erano rimasti e, con Anita in gravissimo stato, cercava di arrivare alla costa romagnola per poi raggiungere Venezia. Braccato dagli inseguitori, trovò alla fine rifugio nella fattoria Guiccioli, in località delle Mandriole, nei pressi di Ravenna. Il fattore Ravaglia e la moglie, assieme al medico Piero Nannini, prestano i soccorsi alla morente Anita che, a detta di Garibaldi, cessò di vivere tra le sue braccia alle 7 e tre quarti del 4 agosto 1849. Così riporta nelle sue memorie: “Le presi il polso, più non batteva. Avevo davanti il cadavere di colei che io tanto amava. Piansi amaramente la perdita delle mia cara Anita. Raccomandai alla buona gente che mi circondava di dare sepoltura a quel cadavere e mi allontanai sollecitato dalla stessa gente di casa che io compromettevo rimanendo più tempo”.
Fin qui il racconto di Garibaldi, che non fa una grinza. Ma la vicenda si tinge a forti tinte di giallo quando, sei giorni dopo la morte, il 10 agosto, una ragazzina del luogo, tale Speranza, rientrando nella propria casa che sorgeva a breve distanza della fattoria Guiccioli, inciampa in qualcosa di indefinito e, con grande raccapriccio e paura, s’accorge che si tratta di una mano che emerge da uno strato di sabbia ed è scarnificata, perché probabilmente divorata dai cani. Intervengono la polizia del luogo e le autorità competenti. Viene dissotterrato un cadavere. È quello del corpo in decomposizione e martoriato di Anita Garibaldi. Trattasi del cadavere di Anita Garibaldi incinta e moglie del bandito Giuseppe Garibaldi, che tra l’altro presenta segni non equivoci di sofferto strangolamento, scriverà poi nel suo rapporto il delegato di polizia riprendendo il referto, in seguito all’esame autoptico eseguito dal medico legale, il professor Luigi Foschini, primario dell’ospedale di Ravenna. Certificata morte per strangolamento, dunque.
Ma allora che cosa accadde alle ore 7 e tre quarti del 4 agosto? Anita era ancora viva, a differenza di quanto sostiene Garibaldi nelle sue memorie? E chi la uccise, strangolandola per eliminare – essendo lei debole e malata – un ostacolo alla fuga del marito o un pericolo compromettente la sua presenza alla fattoria Guiccioli? Motivi per cui, essendo ancora viva, era opportuno in qualunque modo disfarsene.
Sorge per questo una miriade di interrogativi e illazioni. Le autorità, in un primo momento, fanno balenare l’ipotesi che sia stato lo stesso Garibaldi a uccidere la moglie incinta. Poi procedono all’arresto del fattore Ravaglia e di sua moglie, sotto l’accusa di correità e complicità nel supposto omicidio dell’incognita donna del ben noto Garibaldi e di ospitalità al ricercato. Al processo, i Ravaglia saranno assolti.
Tutto chiaro? mica tanto! Ma, allora, chi ha strangolato Anita? Si mormorò allora che il processo fosse pilotato per evitare lo scandalo che sicuramente avrebbe coinvolto il marchese Guiccioli, persona di grande prestigio e notabile del luogo. Per i Ravaglia, finiti i guai giudiziari, continuarono quelli con il più terribile brigante romagnolo di quei tempi: Stefano Pelloni detto il Passator Cortese, il quale, convinto che i Ravaglia si fossero impossessati di un tesoro abbandonato da Garibaldi in fuga, cercò in tutti i modi di far loro rivelare, con le buone e con le cattive, il luogo dove avevano nascosto l’ipotetico tesoro.
Di ciò non se ne seppe più niente, sottaciuto da storiografi e agiografi compiacenti, ma rimane il beneficio del dubbio su una vicenda poco chiara da cui Garibaldi, certamente, non ne esce molto bene. Come altrettanto poco bene, l’ ‘eroe dei due mondi’, uscirà dal suo secondo matrimonio da commedia all’italiana celebrato a Fino Mornasco (Como) il 24 gennaio del 1860: matrimonio che durò, in tutto, il breve spazio di un mattino. Con la 17enne marchesina Giuseppina Raimondi, già incinta all’insaputa di Garibaldi di Gigio Caroli, un ufficiale dello stesso comandante delle camicie rosse. L’ ‘eroe dei due mondi’, insomma, stava per diventare padre di un figlio non suo… Una storia che, all’epoca, fece ridere mezzo mondo.
Ma questa, per l’appunto, è un’altra storia. Chissà se un giorno il regista Claudio Bonivento ci proporrà un fiction su questo intrigante matrimonio tra l’allora 52 enne Giuseppe Garibaldi e la 17enne marchesina Raimondi. Ma evidentemente essendo, questo argomento, dissacratorio dell’icona Garibaldi, sicuramente non se ne farà nulla, poiché, a quanto pare, ancor oggi, è reato parlare male dell’eroe più gettonato dagli italiani.

 


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