Ancora suicidi a Ragusa

E’ difficile dirsi “perchè”. Sono giorni duri e chiederselo, questo “perchè”, a noi adulti costa dolore. E tormento.

Noi così pronti a scacciare ogni infausto pensiero. A spegnere la tv, se un’immagine ci affligge. A cambiarci le domande che ci frullano in testa, se quelle già esistenti ci fanno male.

Noi così bravi a cambiare argomento, addolcirlo, sviarlo, se i nostri “piccoli” ci pongono quesiti importanti. Da che mondo e mondo, gli adulti della specie insegnano ai più giovani la sopravvivenza. Se è il caso, la felicità. I nostri “piccoli” talora non si fidano più di noi: di noi adulti, genitori, amici maggiori, insegnanti. Forse, come adulti, non abbiamo più un’immagine affidabile.

I giovani, invece, sono sempre capaci, se vogliono, di inchiodarci con i loro quesiti, di metterci a un angolo e chiederci ciò che la loro età richiede di sapere, ciò che il presente, ciò che il bello o il dolore di stare al mondo chiedono. Domandano di Dario. E’ impressionante l’oggi, come lo sono stati i pochissimi giorni trascorsi dalla sua scomparsa. A scuola, c’è silenzio. Il quarto d’ora della ricreazione è mesto e non è neanche avvertito come necessario. Qualcosa di molto più grande è afferrato nell’aria dai nostri studenti, trattenuto e comunicato ai docenti: la sensazione dell’irreversibile, colta nella morte; poi, il desiderio di capire se l’occasione che oggi, irrimediabilmente, è offerta, quella di comunicare con gli adulti, sarà da questi colta, o meno. Si gioca a carte scoperte: ci dicono cosa pensano, i nostri studenti. Ci dicono cosa hanno sentito su Dario, piangono apertamente se lo hanno conosciuto. Ci chiedono però, anche, chiaramente, cosa pensiamo, cosa sappiamo. Perchè si possa arrivare a tanto. E, poiché sono giovani, pretendono di sapere anche di chi sia la responsabilità di questa circostanza assurda: nominano i grandi sistemi: la società, la caduta dei valori, la mancanza di entusiasmo, il mal di vivere. E, sulle loro bocche, queste parole non suonano come qualunquiste, ma come nuove. Di questo dovremmo sempre ricordarci: del fatto che i nostri giovani sono nuovi alla vita e che nei loro confronti abbiamo la responsabilità di essere accudenti.


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