Maria Teresa Ciancio, vicepresidente della Fondazione Giuseppe Fava, scrive a MeridioNews un pensiero su quanto sta accadendo in questi giorni. Partendo dall'intervista di Bruno Vespa al figlio di Totò Riina, il corleonese che ha ordinato le stragi di mafia in cui hanno perso la vita i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino
«Anche il capo dell’Isis gioca coi suoi figli» La riflessione sulle parole di Salvo Riina jr
Anche il capo dell’Isis gioca affettuosamente con i propri figli, e, secondo come andrà la storia, le mie nipoti ne vedranno uno intervistato da Bruno Vespa, perché sarà iniziata una fase di revisionismo, di rilettura del fenomeno.
È quello che sta accadendo adesso nei confronti della mafia.
Approfittando del momento di grande debolezza dell’antimafia, dei tentativi di delegittimazione della funzione delle associazioni antimafia, intellettuali alla moda ci spiegano, in ampi spazi a loro dedicati dai media, che si devono rivedere gli atteggiamenti di questi ultimi venti anni.
Prima qualcuno, un po’ grossolano, ci aveva detto che con la mafia bisogna convivere, ora menti raffinatissime incominciano a delineare le linee politiche e mediatiche attraverso cui convincere l’opinione pubblica italiana che un ciclo si è concluso, che il fanatismo dell’antimafia e dei parenti delle vittime di mafia, le leggi di confisca dei beni mafiosi, sono stati causati da un momento di esasperazione di temi tutto sommato poco rilevanti ai fini dello sviluppo economico della nazione, che è ora di smettere di guardare sempre al passato, di fare memoria a tutti i costi, di voler educare i giovani più alla legalità che a Internet.
E Giuseppe Fava e Falcone e Borsellino e le oltre 900 vittime di mafia saranno finalmente morte per niente.
Maria Teresa Ciancio (V. presidente Fondazione G. Fava)