Le amministrative a Trapani e quel risultato che fa litigare sia destra che sinistra

In campagna elettorale i big lo dicono sempre: «Le Comunali sono diverse da ogni altro tipo di elezione, saltano gli schemi». Sembra una frase fatta, ma mai come questa volta questo assunto ha creato problemi ai palazzi palermitani e di riflesso a quelli romani. D’altra parte, quando si parla di elezioni amministrative, Trapani trova sempre il modo di calamitare il centro dell’attenzione. Non poteva fare eccezione questa tornata elettorale, dove, seppure non ci siano stati grandi colpi di scena rispetto a quanto successo negli scorsi anni nel capoluogo più occidentale dell’Isola, il risultato sta scatenando malumori all’interno della politica regionale a tutte le latitudini.

Ha vinto al primo turno il sindaco uscente Giacomo Tranchida. Risultato netto, con il 5,22 per cento di vantaggio su Maurizio Miceli, un distacco più che sufficiente, visto che Tranchida ha infranto il muro del 40 per cento delle preferenze, necessario per evitare il ballottaggio. È stato più volte detto della diatriba che ha visto l’assessore regionale Mimmo Turano sostenere insieme ai suoi fedelissimi, tutti targati Lega, Tranchida, che pure partiva con una coalizione civica sbilanciata a centrosinistra. Un sostegno che aveva generato malumori, persino nel grande mediatore Renato Schifani, che è arrivato a considerare a rischio anche la posizione in giunta di Turano, che pure non ha fatto passi indietro.

Alla fine il danno, se così lo si vuole chiamare, è stato grosso: la lista in cui sono confluiti i leghisti di Turano è stata la più votata del pacchetto di Tranchida, con l’8,72 per cento delle preferenze. Un dato che, inutile dirlo, ha fatto la differenza, con una percentuale di voti che, anche se fosse stata dimezzata, avrebbe potuto sancire, se non la vittoria, quanto meno il ballottaggio per il candidato del centrodestra (quasi) unito, il già citato Maurizio Miceli. Fonti vicine all’ambiente del centrodestra palermitano parlano di confronti tutt’altro che pacifici con i vertici Fratelli d’Italia in particolare intenzionati a chiedere la testa dell’assessore alle Attività produttive per la sua mancanza di gioco di squadra. A fare muro, tuttavia, avrebbe pensato Luca Sammartino, vicepresidente e uomo forte della Lega alla Regione, che ha ricordato ai colleghi che le analisi devono essere fatte a tutto campo, non su un solo dato particolare.

E in effetti, allargando il punto di vista, Turano e i suoi hanno peccato di coerenza, decidendo di proseguire un percorso, quello con Tranchida, che dura fin dalla scorsa legislatura, quando hanno di fatto governato al fianco del rieletto sindaco trapanese. D’altra parte, emerge anche lo scarso contributo dei partiti con simbolo nazionale dalla parte di Miceli, con Forza Italia che prima riesce a presentare una lista sul filo del rasoio – dopo non poche difficoltà – e poi non supera lo sbarramento. Impresa riuscita soltanto ad Autonomisti e Fratelli d’Italia, che comunque hanno portato molta meno acqua al mulino di Miceli della lista civica che lo sosteneva – Amo Trapani – la più votata in assoluto tra tutte le liste in campo, anche più di quella di Turano. Un dettaglio che non può certo passare inosservato.

Ma se Sparta piange, Atene certo non ride. L’exploit della lista che ospitava i leghisti ha adombrato persino l’unico risultato propizio per il centrosinistra e per il Partito democratico in particolare. Il Pd aveva scelto di non schierare il simbolo in questo caso, presentando la lista civica I democratici, che per nome e grafica non lasciava troppo spazio all’immaginazione. Lista che avrà il suo spazio a Palazzo d’Alì, ma che ha passato lo sbarramento con affanno, grazie a un salvifico 0,1 per cento. Di certo una performance non paragonabile con quella di Amo Trapani, che di fatto delegittima la vittoria Dem, che provano non poche difficoltà a intestarsi un sindaco che hanno sostenuto ed eletto, ma da comprimari. Insomma, a Trapani a cantare vittoria è solo Giacomo Tranchida, con buona pace dei giochi di partito. Per i partiti, quelli di palazzo dei Normanni, invece, comincia il lungo tempo dei ragionamenti interni.


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