An american dream tra mito e realtà

Mi aspettavo, come un po’ tutti i turisti, di trovare la capitale dell’economia capitalistica, la città degli uomini d’affari e degli imponenti grattaceli, la patria del melting pot e degli hot dog venduti nei carretti in strada. Ed in effetti, tutto ciò che della City avevo immaginato e visto tramite la televisione corrispondeva al vero. Quello che più mi ha colpito è stato visitare luoghi tra il meraviglioso e il romantico che mi hanno lasciato non poche volte beatamente tramortito. Probabilmente solo Woody Allen ha osato considerare Manhattan un “luogo romantico”. Dopo la mia vacanza di 20 giorni trascorsa negli USA, mi sento di dire: “Woody, c’hai ragione!”.
 
La cittadina dove abitavo era Wading River, situata sulla costa Nord a metà della grande isola allungata chiamata per l’appunto Long Island, ad Est rispetto Manhattan. Soggiornavo presso la casa di un cugino di mio padre, una splendida abitazione a due piani con garage, basement, mansarda e tetto spiovente in pieno stile coloniale. Il giardino era così grande che non riuscivo a distinguerne i confini e tutto intorno tanti di quegli alberi che mi sembrava di stare immerso in una foresta. Nel tardo pomeriggio, dopo aver visitato New York, ero solito leggere in giardino e non era difficile che dalla vegetazione sbucassero fuori animali quali talpe, conigli e cerbiatti. Vedere tanti piccoli Bambi brucare l’erba mi rilassava a tal punto che dimenticavo il caldo e il caos patiti durante il tour giornaliero nella Metropoli.
 
Un’atmosfera del genere l’ho respirata soprattutto nel mitico polmone della città: il Central Park. Non si può visitare New York senza aver trascorso un’intera giornata nel gigantesco parco (largo tre isolati e lungo circa ottanta!) per farci un pic-nic, una pattinata, un giro in bici o in carrozza o semplicemente una passeggiata. All’interno del parco, oltre a prati ed alberi, mi sono imbattuto in diversi laghetti artificiali: quello più grande è la Jacqueline Kennedy Onassis Reservoir, dove trovano dimora alcune famiglie di anatre che vedevo nuotare in fila indiana da una sponda all’altra. Negli sconfinati prati del parco due manager in gessato assaporano un break d’evasione, sei amici giocano a rugby, dei bambini giocano sugli scivoli, una coppia si perde in un bacio all’ombra di una quercia. E a tutto ciò fa da cornice una fauna e una flora a dir poco armoniosa: gli scoiattoli si avvicinano alle persone a domandare del cibo, i piccioni si baciano dopo essersi bagnati in una fontanella. La magia del luogo tramonta quando, uscendo, si cominciano a rivedere i grattaceli, le auto ai semafori, i caldi fumi che sfociano dalla metropolitana.
 
Sul lato west del parco, a circa metà della sua lunghezza (precisamente sulla 79th street), un altro luogo ha suscitato in me una grande meraviglia. Si tratta del American Museum of Natural History, sei piani di esposizione che abbracciano pressoché tutti i saperi: astronomia, biologia terrestre e marina, evoluzionistica, paleontologia, mineralogia, chimica. Certamente vedere da vicino gli scheletri dei dinosauri e centinaia di animali imbalsamati e incastonati nei loro habitat naturali ricostruiti minuziosamente faceva il suo effetto, ma approfondire la mia conoscenza delle civiltà disseminate per il mondo attraverso utensili, armi, strumenti musicali, gioielli e abiti mi saziava ancor più lo spirito.

Una scena mi è rimasta particolarmente impressa: nel padiglione dedicato alle civiltà dell’estremo oriente, una madre americana, ma dai tratti visibilmente asiatici, spiegava alla figlia di otto/nove anni, le tradizioni dei loro antenati e la piccola interessata poneva domande su domande alla madre tenendo puntato il dito ora su una vetrina ora su un’altra. Un viso così piccolo eppure così curioso che mai dimenticherò.
 
Restando in tema bambini, consiglio vivamente a tutti di visitare uno dei più bei negozi di giocattoli di New York: F A O Schwarz. Piccola oasi incantata dove trovare riparo dai clacson dei yellow cabs (i mitici taxi gialli). Ho avuto la fortuna di assistere all’apertura del negozio (alle 9am) che si svolge in chiave cerimoniale: tre uomini, vestiti con divise color rosso e oro e  berretti stile guardia inglese sormontati da pennacchi, annunciano in filastrocca l’apertura del locale, intonano una melodia con una tromba e srotolano, dalla porta principale, un tappeto porpora del quale i clienti si serviranno per entrare. Dentro, tutto il personale ci aspettava schierato ai due lati del corridoio applaudendo e sorridendo con tutti i denti a disposizione. Emozionante per un ventenne, figuriamoci per un bambino! Inutile dire che qualsiasi oggetto che possa essere definito “giocattolo” era lì: da quelli elettronici (pochissimi in verità) a quelli più tradizionali come bambole, costruzioni e peluche.
 
Infine un doveroso accenno ai tramonti gustati dalle panchine situate sui ponti o sui moli della città. La rossa luce del sole assume svariate intensità date dai riflessi dei finestroni dei grattacieli, per non parlare delle sfumature ottenute per effetto delle nubi in transito e delle sostanze inquinanti nell’aria. Mi veniva quasi da gioire per l’esistenza dello smog, senza il quale tutto lo spettacolo che mi si parava dinanzi, non sarebbe stato lo stesso.

Questa la New York che non mi aspettavo di vedere. Certo, ho visitato anche la bellissima New York turistica: l’Empire State building, il ponte di Brooklyn, Times Square, Rockfeller Center, Ground Zero, Wall Street, Chinatown, Museum of Modern Art, Statua della libertà, Little Italy, Guggenheim Museum, Coney Island e le chiese d’imitazione ora gotica, ora medievale come la St Patrick Cathedral e la St. Tomas church.

Se siete diretti a New York, il mio consiglio è di pianificate prima i posti da visitare e di riflettere un po’ su cosa vale la pena davvero di vedere. Non esitate comunque a contattarmi per avere dritte, informazioni o, perché no, vedere le 2500 foto che ho scattato!

Fotogallery

 

Se anche tu vuoi raccontare il tuo viaggio, scrivi a step1@unict.it


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