Amt, dopo il caso Librino parlano gli autisti «Sul 555 entri normale ed esci su di giri»

«C’è un detto tra i dipendenti dell’Amt: quando sali sul 555 entri normale ed esci su di giri». Non è una semplice battuta: per gli operatori d’esercizio dell’Azienda metropolitana trasporti, il caso denunciato da CTzen dei bus utilizzati dai minorenni etnei come corrieri per andare ad acquistare droga nel quartiere periferico è una realtà quotidiana, che va avanti da anni. Tra denunce sindacali, richieste di maggiori controlli alle forze dell’ordine e persino minacce di ritorsioni.

«Non è facile parlare di questi argomenti, perché dobbiamo pensare alla nostra incolumità», affermano tre autisti interpellati sul tema, tra i capolinea di piazza Borsellino, piazza della Repubblica e piazza Borsa. E per tutti la richiesta è uguale: «Vogliamo mantenere l’anonimato, utilizzando dei nomi fittizi per evitare ritorsioni. Potrebbe leggere chiunque». Queste le parole di un autista, che chiameremo Franco, in servizio da oltre dieci anni. Racconta quanto accaduto sabato scorso, proprio sulla linea che passa per viale Castagnola. «Intorno alle 22.30, una quindicina di ragazzi tra i 15 e i 20 anni sono saliti in piazza Borsellino. Tutti – spiega il conducente – sono puntualmente scesi a Librino alla fermata di fronte al murales (la porta della Bellezza, ndr). Circa venti minuti dopo sono risaliti in massa, nell’ultima fermata prima di imboccare l’asse dei servizi. E’ evidente che vanno a comprare il fumo».

La situazione, secondo Pippo, che ha una esperienza più che ventennale, «è degenerata nella seconda metà degli anni ’90: prima non era così». Sulla linea del 555, ricorda, «già sette o otto anni fa c’era lo stesso via vai». Con un particolare: «Durante la settimana, i colleghi che sono sulla linea, notano degli uomini di colore che scendono per pochi minuti per poi risalire. L’ipotesi è che siano della sorta di corrieri della droga». Il problema, al momento, sembra ristretto al bus che porta nel grande quartiere, anche se «la zona tra viale Tirreno e via Capo Passero, a San Nullo, è anche peggiore», afferma. «Nella linea 830, ad altezza del quartiere Zia Lisa, siamo puntualmente vittime di sassaiole. Una sorta di assalto alla diligenza, che causa la distruzione di almeno un paio di vetture ogni mese».

«Abbiamo denunciato spesso le nostre difficoltà sulle linee all’azienda, all’amministrazione, alle forze dell’ordine, alla prefettura. Non è mai cambiato niente», afferma il terzo lavoratore Amt, che chiameremo Salvatore. Non è più in servizio come conducente, ma dalla sua lunga esperienza, ricorda bene alcuni episodi in cui i conducenti sono stati protagonisti di violenze. «Ben due volte, sulla linea 25, gli autisti sono stati trovati in fin di vita per strangolamento: letteralmente incaprettati al posto guida. Un altro collega in via Vittorio Emanuele è stato accoltellato, per fortuna senza conseguenze», spiega l’uomo. Gli episodi, che risalgono ai primi anni ’90, sono stati ampiamente trattati dalla stampa. «Si è trattato di atti scaturiti da banali battibecchi con gli utenti: inevitabili, perché siamo sempre soli e abbiamo l’obbligo di fare salire tutti», conclude Salvatore.

«Poco tempo fa, sulla linea 25 che porta a San Giorgio, ho chiamato le forze dell’ordine per intervenire, all’altezza del porto – prosegue Franco – perché dei ragazzi stavano fumando uno spinello dentro la vettura. La polizia, quando è intervenuta, li ha redarguiti e loro hanno continuato a stare sul bus». «Noi abbiamo la responsabilità civile e penale per quel che accade sugli autobus – afferma Pippo – Ma siamo soli, giriamo ad ogni ora e prima di tutto dobbiamo pensare alla nostra integrità fisica», conclude il dipendente Amt.


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Non è un fenomeno degli ultimi tempi: per i conducenti dell'Azienda metropolitana trasporti il caso denunciato dal nostro giornale dell'utilizzo dei mezzi pubblici da parte degli adolescenti per acquistare droga si ripete «da molti anni». Nonostante le richieste di intervento alle autorità, però, «non è cambiato nulla», riferiscono tre autisti. Che preferiscono restare anonimi «per paura di ritorsioni»

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