Amianto, Rfi condannata a risarcire un macchinista morto «C’era il rischio espositivo e non era una piccola impresa»

La giudice del tribunale di Roma Francesca Vincenzi ha condannato Rfi al risarcimento di 300mila euro alla famiglia di un macchinista di Palermo morto nel 2015 di mesotelioma per esposizione alla fibra killer. L’uomo aveva lavorato come macchinista nelle ferrovie per trent’anni, dal 1967 al 1996, sempre esposto all’amianto senza dispositivi di protezione. Prima nel deposito locomotiva di Catania, poi in quello di Palermo e Caltanissetta. Per qualche mese era stato addetto alla conduzione di treni in Sicilia. Infine, aveva lavorato nel deposito locomotiva di San Lorenzo a Roma

Nella sentenza la magistrata richiama l’onere, per il datore di lavoro, di provare a sua discolpa, «di avere adottato, pur in difetto di una specifica disposizione preventiva, le misure generiche di prudenza necessarie alla tutela della salute dal rischio espositivo secondo le introduzione di norme per il trattamento dei materiali contenenti amianto». Il riferimento è alla legge 257/1992 che mette al bando la fibra killer. Spiega anche che la presenza di amianto nell’ambiente di lavoro dell’uomo emerge dai documenti presentati nel ricorso. La giudice sottolinea anche che non si tratta di «una piccola impresa che galleggia nella turbolenza di leggi da cui trarre indicazioni comportamentali, ma di una grande realtà aziendale, parallela, per i servizi sanitari, allo Stato».

Dotata anche «di un organismo ad hoc, assistito da competenze scientifiche, deputate in primo luogo ad assicurare e garantire la salute dei ferrovieri» e sottolinea che l’organizzazione sanitaria «si è dimostrata inadeguata e/o difettosa nel rivelare e segnalare tempestivamente al vertice gestionale il serio e non ipotetico pericolo incombente costituito dalle fibre di amianto diffuse nel materiale rotabile, suggerendo rimedi che la comunità scientifica internazionale aveva ormai allo studio». L’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio nazionale amianto (Ona), che ha curato il ricorso si è detto «soddisfatto perché è stata fatta giustizia. Ma – ha aggiunto – non possiamo gioire per la vittoria perché arriva dopo tanta sofferenza dell’operaio e della sua famiglia».


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