Amianto a Gela, 38 dirigenti Eni indagati Lesioni gravi e morti sospette tra le accuse

Un’indagine lunga e laboriosa che ha preso in esame gli ultimi 25 anni di attività della raffineria di Gela e in particolare la presenza di amianto e l’effettivo «rapporto causa-effetto fra l’esposizione dei lavoratori all’asbesto e l’insorgenza delle malattie professionali riscontrate». Il risultato alla fine delle indagini preliminari è di 38 indagati, con l’accusa di «aver causato a diversi lavoratori lesioni personali gravi e, in due casi, anche la morte, a seguito dell’esposizione a materiali contenenti amianto». Nell’elenco dei pubblici ministeri Serafina Cannatà ed Elisa Calanducci ci sono nomi di amministratori delegati, direttori, responsabili del servizio prevenzione e protezione e responsabili amianto di diverse società facenti capo al gruppo Eni che, nel corso degli anni, con varie denominazioni, hanno operato all’interno dell’impianto o appartenenti a società dell’indotto.

Le indagini, portate avanti dalla Guardia Costiera e dal corpo forestale in forza alla polizia giudiziaria della Procura di Gela, sono partite dalle numerose denunce dei lavoratori. Segnalazioni che continuano ad arrivare ai magistrati e che hanno reso complicato il lavoro di analisi. A queste si aggiungono i referti dell’Inail (l’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro) a proposito dei casi di malattie professionali derivanti da esposizione ad amianto. Alla luce delle prove raccolte, sono stati individuati i profili di responsabilità dei singoli indagati. Approfondimento complicato dall’avvicendarsi di cariche e ruoli e dal susseguirsi di diverse società all’interno della raffineria, tutte comunque riconducibili al gruppo Eni.

Allo stesso modo è stata ricostruita la storia dei singoli lavoratori colpiti da asbestosi o deceduti dopo aver contratto il mesotelioma pleurico, «patologia tumorale – sottolineano i pubblici ministeri – inequivocabilmente correlata all’esposizione ad amianto». Si tratta del secondo procedimento della procura di Gela sulle conseguenze dell’amianto sui lavoratori della raffineria. A fine ottobre il giudice dovrà decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio, formulata a gennaio dal procuratore capo Lucia Lotti in un altro procedimento che vede indagati quattro dirigenti della Raffineria di Gela s.p.a. – Bernardo Casa, Rosario Orlando, Artuto Anania, Biagio Genna – accusati di non aver osservato le norme per garantire la sicurezza sul lavoro, di versamento e deposito incontrollato di rifiuti pericolosi. «Col nuoco procedimento si compie un passo avanti nell’accertamento della verità – spiega l’avvocato Ezio Bonanni, dell’Osservatorio Nazionale sull’Amianto (ONA) – se infatti il primo processo, in cui siamo parte civile, riguarda reati contro l’incolumità pubblica, in questo nuovo procedimento si parla di reati contro la persona. Il cerchio si chiude». L’Ona a Gela, dove è presente con una sede, conta 300 iscritti. «In questi anni  – conclude Bonanni – tra i lavoratori della raffineria siciliana abbiamo registrato quasi 100 casi tra morti e malattie che i medici riconducono alla presenza di amianto».

[Foto di Gabriel de Andrade Fernandes]


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Avrebbero causato a diversi lavoratori lesioni personali gravi. In due casi anche la morte. Con questa accusa trentotto dirigenti di società legate all'Eni, che hanno operato negli ultimi 25 anni nel complesso petrolchimico di Gela, sono indagati dalla locale procura della Repubblica. Le indagini, che hanno analizzato un lungo arco temporale, sono partite dalle numerose denunce dei lavoratori e dai referti dell'Inail sulle malattie professionali derivanti dalla presenza di amianto

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