All’Onu la speranza di pace tra palestinesi e israeliani

A 65 anni esatti dalla risoluzione del 29 novembre del 1947, quella chiamata della ripartizione (Partition resolution), l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite torna a riconoscere lo Stato palestinese.

La risoluzione approvata giovedì chiedeva il riconoscimento della Palestina come ‘Stato osservatore non membro’ dell’organizzazione internazionale. Il testo approvato, ribadisce il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione e all’indipendenza, ed auspica che il Consiglio di Sicurezza consideri favorevolmente la domanda presentata dal presidente palestinese Abu Mazen il 23 settembre 2011 per l’ammissione a pieno titolo alle Nazioni Unite.

Si afferma poi la determinazione dell’Autorità Palestinese a contribuire alla realizzazione dei diritti inalienabili del suo popolo, e al raggiungimento di una soluzione pacifica della questione mediorientale che ponga fine all’occupazione iniziata nel 1967 e sia conforme con la visione di due Stati: una Palestina indipendente, sovrana e democratica, che viva fianco a fianco in pace e sicurezza con Israele sulla base dei confini precedenti al 1967.

Un ritorno al futuro quindi, perché la risoluzione che 138 nazioni su 193 hanno approvato (9 i voti contrari, 41 gli astenuti) non è altro che riconoscere ciò che nel novembre del 1947 avevano già affermato le Nazioni Unite. Ma allora i palestinesi rinnegarono quell’appuntamento con la storia e accettarono invece la guerra voluta dai Paesi arabi “per buttare a mare gli ebrei”, come ha ribadito ieri l’ambasciaotre israeliano Prosor nella sua replica al discorso del presidente palestinese Abbas.

I nove “no” alla risoluzione non hanno riservato sorprese. Hanno votato contro Stati Uniti, Israele, Canada, Repubblica Ceca, Panama, e poi i mini Stati di Palau, Isole Marshall, Narau, e Micronesia.

“La Palestina crede nella pace e il voto di oggi è l’ultima chance per salvare la soluzione dei due Stati”, ha affermato giovedì il leader dell’Autoritá palestinese Abbas davanti all’Assemblea che lo ha accolto con un fragoroso applauso. Il presidente Abbas, ha poi detto “che l’Assemblea Generale oggi è chiamata a rilasciare un certificate di nascita alla realtà dello Stato palestinese”, condannando quello che ha chiamato il razzismo e colonialismo di Israele. Ma allo stesso tempo, soprattutto verso la fine del discorso, Abbas ha anche indicato che dopo questo riconoscimento, la sua leadership é pronta per proseguire i colloqui di pace. “Non siamo venuti qui per delegittimare uno Stato stabilito anni fa, lo Stato di Israele”, ha detto Abbas, “piuttosto siamo venuti per riaffermare la legittimità di uno Stato che ora deve raggiungere la sua indipendenza, e questo è lo Stato della Palestina”.

Per Abu Mazen si tratta di una vittoria diplomatica su Israele, ma strategica soprattutto nei confronti di Hamas, che dopo lo scontro militare della scorsa settimana con Israele a Gaza aveva rafforzato la sua popolarità anche tra i palestinesi del West Bank.

“Noi siamo qui mentre stiamo ancora seppellendo i martiri a Gaza”, ha detto ieri Abbas all’Onu (foto a destra), ma a sua volta, Hamas, che nei giorni scorsi si era detta favorevole alla richiesta di riconoscimento da parte dell’Assemblea generale, ha subito reagito scomunicando il discorso di Abbas all’Onu, soprattutto sul diritto di Israele ad esistere.

Secondo il New York Times, un portavoce di Hamas a Gaza, Salah al –Bardaweel, avrebbe dichiarato: “Ci sono dei punti controversi espressi da Abbas, e Hamas ha il diritto di ribadire la sua posizione su questi. Noi non riconosciamo Israele, non riconosciamo la ripartizione della Palestina, e Israele non ha alcun diritto sulla Palestina”, ha giunto il portavoce di Hamas ripreso dal New York Times che ha concluso: “Avere il nostro riconoscimento all’ONU è un nostro diritto naturale, ma senza dare un solo centimentro del suolo della Palestina”.

Quindi il giorno stesso della vittoria all’Onu, ecco che subito le divisioni palestinesi rendono sempre più ardua e complicata il ritrovamento della strada della pace. E questo lo ha fatto ovviamente notare l’ambasciatore Israeliano, Ron Prosor, che ha parlato subito dopo il presidente Abbas, e in cui ha ribadito la preoccupazione nel fallimento dell’autorità palestinese nel non riconoscere Israele per quello che è. L’ambasciatore israeliano ha detto che “il Presidente Abbas ha descrtitto la riunione di oggi come “storica”. Ma l’unica cosa di storico nel suo discorso è quanto egli abbia ignorato la storia”.

“La veritá”, ha detto l’ambasciaotre Prosor, “è che 65 anni fa le Nazioni Unite votarono la ripartizione del Mandato Britannico in due Stati: uno Stato ebraico, e uno Arabo. Due Stati per due popoli. Israele accettò questo piano. I palestinesi e le nazioni arabe attorno a noi lo rigettarono e lanciarono una guerra di annientamento per ‘gettare gli ebrei a mare”.

Prosor nel suo discorso ha detto che il primo ministro israeliano già tre mesi fa da quel podio aveva ribadito alla ledership palestinese che il suo obiettivo era quello di creare “una soluzione di due Stati per due popoli, in cui uno stato demilitarizzato palestinese riconoscerá Israele come lo Stato del popolo ebraico. Proprio cosí, due Stati per due popoli”.

E qui Prosor ha attaccato Abbas: “President Abbas. Non ho sentito usare da lei la frase ‘due Stati per due popoli’ questo pomeriggio. Perché la leadership palestinese non ha mai riconosciuto il fatto che Israele è la nazione-Stato del popolo ebraico”. Cioè per l’ambasciatore israeliano, questa leadership palestinese “non ha mai avuto la volontà di accettare quello che proprio questa istituzione ha riconosciuto 65 anni fa: Israele come uno Stato ebraico. Infatti oggi lei ha chiesto al mondo di riconoscere lo Stato palestinese, ma lei ancora rifiuta di riconoscere lo Stato ebraico.” E quindi Prosor, sempre rivolgendosi al presidente palestinese: “President Abbas, invece di revisionare la storia, è giunto il momento di fare la storia, facendo la pace con Israele”.

Ma il diplomatico israeliano ha quindi ricordato come Abbas non controlli Gaza, dove comanda Hamas, e quindi che non c’è una vera leadership palestinese che possa prendersi adesso le responsabilità di uno Stato. (a sinistra, Israele, foto tratta da venere.com)

Ma 138 Paesi membri dell’Onu, compresa l’Italia, invece la pensano diversamente, e cioè che la risoluzione approvata giovedì all’Assemblea Generale invece di allontanare le possibilità di ripresa dei negoziati bloccati per troppo tempo, possa invece dargli una scossa in avanti.

Ma ecco come è andato il voto per l’elevazione dell’entità palestinese a Stato osservatore dell’Onu non membro. L’Assemblea generale Onu si è mostrata piú divisa proprio tra gli europei: sul voto scontato degli Stati Uniti al fianco di Israele per il ‘no’ si è ritrovata anche la Repubblica Ceka, mentre Germania e Gran Bretagna si sono fermate all’astensione non seguendo la Francia, l’Italia, la Spagna, il Portogallo e con la Svizzera e quasi tutti gli altri Paesi dell’Ue occidentale, mentre molti dei Paesi dell’Europa orientale si sono astenuti. La Russia ha votato sì.

L’Italia, nei corridoi dell’ONU, veniva data come vicinissima all’astensione fino a poche ore dal voto. “Abbiamo deciso di votare sì considerando l’approccio costruttivo del presidente Abu Mazen sulla ripresa senza condizione dei negoziati”, ha dichiarato l’ambasciatore Cesare Maria Ragaglini, rappresentante permanente al Palazzo di Vetro al momento di dare la spiegazione del voto positivo alla risoluzione dell’Assemblea Generale.

La scelta dell’Italia, secondo il governo Monti, è stata dettata dalla necessità di “rilanciare il Processo di Pace con l’obiettivo di arrivare a due Stati che possano vivere fianco a fianco, in pace”. A spingere il governo Monti verso il sì sarebbe stata anche l’urgente necessità di rafforzare la leadership “moderata” di Abbas, artefice della richiesta di risoluzione al Palazzo di Vetro. L’immagine del presidente palestinese dopo l’intervento israeliano a Gaza era infatti apparsa notevolmente indebolita, mentre il ruolo di Hamas si era ulteriormente rafforzato.

Interessante notare, nel voto di giovedì, il notevole spostamento a favore dei palestinesi di molti Paesi europei rispetto ad un anno fa, quando ci fu il voto per ammettere l’autorità palestinese nell’Unesco. Cinque dei Paesi europei che in quell’occasione si astennero – l’Italia, la Danimarca, la Svizzera, il Portogallo e la Georgia – giovedì al Palazzo di Vetro hanno votato sí. Tre Paesi che allora votarono no, Germania, Olanda e Lituania, ora si sono astenuti.

La Francia, che giorni fa era stata tra i primi Paesi europei a rivelare che avrebbe votato sí, nell’intervento dell’ambasciatore Gerard Araud, ha chiesto “che i palestinesi costruiscano sul successo di oggi un futuro di pace”. L’ambasciatore tedesco all’Onu, Peter Wittig, ha spiegato il voto di astensione sullo Stato della Palestina ribadendo che le due parti dovanno ritrovare la strada del processo di pace: “Adesso entrambe le parti devono astenersi da azioni che possano danneggiare le prospettive di trattativa e l’obiettivo della soluzione dei due Stati”, e per Berlino “le legittime preoccupazioni di Israele sulla sua sicurezza vanno affrontate in modo serio, altrimenti il processo di pace resterà fermo”.

La Gran Bretagna è stata vicinissima a votare “sì” ma aveva posto la condizione ai palestinesi la garanzia che dopo quell riconoscimento non si sarebbero precipitate alla Corte Penale Internazionale per denunciare Israele. Questo è stato ribadito ai giornalisti dallo stesso ambasciatore britannico, Mark Lyall Grant, che ha così fornito la spiegazione del perché alla fine Londra si sia astenuta, dato che quelle assicurazioni non erano arrivate neanche nel discorso di Abbas.

In un incontro con i giornalisti fuori dall’Assemblea Generale, all’ambasciatore britannico é stato chiesto se questo tipo di domanda del governo britannico all’autoritá palestinese non avesse degradato la Corte internazionale ad una semplice moneta di scambio politico. L’ambasciatore Grant ha replicato che quel tipo di richiesta non voleva sminuire la corte penale internazionale ma era solo dovuta al fatto di poter permettere il proseguimento del processo di pace.

Il premier israeliano, Benyamin Netanyahu, a poche ore dal voto dell’ONU aveva detto che la decisione dell’Assemblea Generale “non avvicinerà la costituzione di uno Stato della Palestina. Anzi l’allontanerà”. Dopo il voto dell’Assemblea, il primo ministro israeliano ha definito l’intervento di Abu Mazen “ostile e velenoso” e dai toni che non si conciliano con la richiesta di pace.

Per quanto riguarda gli Stati Uniti, Hillary Clinton e la sua probabile sostituta al Dipartimento di Stato, l’ambasciatrice all’Onu Susan Rice, hanno definito il voto “controproducente” e che “pone nuovi ostacoli alla pace”. Per Washington un vero e proprio Stato palestinese che viva in pace e sicurezza accanto ad Israele può scaturire solo da un negoziato bilaterale. L’ambasciatrice Rice è sembrata senza illusioni, quando ha dichiarato che “l’intera giornata di grandi pronunciamenti presto terminerà, e quando il popolo palestinese si sveglierà domani si accorgerà che nella loro vita é cambiato poco tranne il fatto che la prospettiva di una pace duratura si è ulteriormente allontanata”.

 


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