All’Arte Club la mostra di Enrico Salemi

La mostra d’arte che Enrico Salemi propone presso “L’arte club”  di Catania (fino al 17 maggio 2006) si presenta come un invito a riflettere sui quadri che ci offre la vita attraverso altri quadri, artistici, in estremo contatto col reale. Difatti le opere rappresentano il raggiunto connubio tra vita e arte attraverso l’utilizzo di immagini fotografiche (che la visione comune vuole speculum mundi) e la lavorazione di lastre di plexiglas che le ricoprono con la loro trama infertagli dall’artista. Proprio di ferite si può parlare per descrivere i segni che percorrono queste lastre, spesso in maniera così fitta, e senza alcun supporto iconico, da costituire essi stessi l’opera. Così un quadro può presentarsi come una bianca tela in plexiglas; nascondere con la sua cortina di segni a fiocco di neve un immagine erotica tanto da renderla indistinguibile nonostante gli sforzi di ricostruzione da parte dello spettatore; e ancora assecondare i movimenti di due pugili, con le sue volute impresse nella materia che sembrano seguire il pennello delle notti vangoghiane.

Spostandosi sul versante più spiccatamente figurativo, lastre di plexiglas lavorate ora a cerchi, ora a fondi di bottiglia, lasciano ben distinguere, rispettivamente, un bagno per portatori di handicap, e quello che sembra apparire come lo scoppio di una supernova. Una trama ora a scacchi, ora a strisce orizzontali si sovrappone alla foto di una lampadina appesa in un’oscurità claustrofobica, forse una cella, ambiente cui induce a pensare anche la cornice metallica arrugginita e maltrattata del primo dei due quadri. In gran parte dei casi la cornice è invece dorata e di antica fattura, in stridente rapporto con l’attualità delle immagini delimitate. Un mezzo con cui accennare all’impossibilità di un’arte tradizionale, o un modo per cercare di legittimare l’opera nel tradizionale mondo dell’arte?

Presenti anche foto svincolate dal plexiglas ma comunque rivisitate attraverso un’elaborazione propria: le mani di un uomo azionano una macchina fotografica vecchio stile mentre una pioggia di sfere dalla razionalità del Golconde magrittiano riveste l’immagine; una puntinata figura umana si staglia contro il vento del buio; e due ovali incorniciano quella che l’artista stesso ha scoperto essere (per informazione di una visitatrice dell’esposizione) la galassia del Granchio.

Non solo i mezzi artistici concorrono a confondere la normale percezione dell’ immagine, ma la mancanza dei titoli fa sì che non vi siano indicazioni che possano aiutare a discernerle più agevolmente; e così le foto di quei piedi nudi che si staccano da un pavimento con l’effige di una stella, non sono gli arti inferiori di un impiccato, ma indici dell’ascensione di un moderno Cristo in jeans. La cosa che più colpisce è lo scoprirsi intenti a ricondurre a un senso, a un’icona precisa quegli insiemi di tratti, di elementi, cosicché l’opera che più mi ha interessata è quella formata da una grande lastra di plexiglàs argentato, laboriosamente e minutamente trattato attraverso migliaia di incisioni che opacizzano la materia, ma qua e là, zone non lavorate inducono a cercare la realtà nascosta; si cerca così fino a trovare un secondo piano in plexiglàs dorato e tra le maglie di questo l’occhio finisce per incontrare se stesso, riflesso da sprazzi di specchio. La realtà nascosta e ritrovata si svela essere quella di uno specchio che riproduce una realtà mutilata della sua interezza. Rivive in tal modo il significato etimologico del materiale usato: pléxis = intreccio, Glas = vetro; un’arte che offre la chiarezza del reale, ma che la nasconde nella sua abituale percezione attraverso un velo intrecciato.

E se le opere non producono un immediato interesse o provocano un iniziale riso e perplessità è perchè occorre intervenga la riflessione. Solo così, dice Pirandello, si può passare dall’avvertimento del contrario al sentimento del contrario, dal comico all’umoristico, dal percepire le cose nella loro leggerezza ad interpretarle nella loro amarezza. Non solo un invito ma soprattutto un aiuto a riflettere e cercare.

Un discorso a parte occorre fare per la performance che si è tenuta all’inaugurazione della Personale. Nella stanza la struttura esterna di un talamo antico e al centro una sedia. Quadri e pubblico a far da sfondo. Un anziano signore entra nella “recinzione”, si toglie scarpe e calzini, si siede e si addormenta col braccio appoggiato sullo schienale della vecchia sedia. Luce accesa, spenta, poi accesa di nuovo. Il letto riproduce l’atmosfera d’intimità di una camera da letto, trasmette un senso di protezione, e l’azione dell’uomo rappresenta lo scorrere consueto, monotono della vita. Durante qualsiasi performance a prender parte all’operazione artistica è tutto l’ambiente; e il mio sguardo dal signore dormiente si dirigeva tra il pubblico, verso il viso sorridente di un bambino in braccio alla madre; e non potevo non raffrontare il tempo di quel nonno con quello del suo potenziale nipotino, che tanto bene avrei visto seduto a terra, all’interno della struttura lignea, ad osservare incuriosito il nonno addormentato.

Per concludere, ricordo che Salemi è autore dell’immagine pubblicata sulla copertina degli elenchi telefonici siciliani nel 2005. La mostra è accompagnata da un testo di Giuseppe Frazzetto.


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