Nelle carte dell'inchiesta Sipario emergono i contatti tra il presunto boss e gli uomini in divisa. Indagato per corruzione anche l'architetto di Caltanissetta. Al centro delle vicende l'assegnazione di alcuni immobili
Alla corte di Orazio Buda tre vigili urbani ed ex direttore Iacp Un quadro in regalo e il consiglio: «Deve parlare solo con me»
«Lui ci mette che è chiusa e che non ha trovato nessuno». Le parole del vigile urbano Francesco Campisi si adattavano perfettamente al piano di Orazio Buda, l’uomo considerato dagli inquirenti un elemento di spicco del clan mafioso dei Cappello. Lo stesso che viene bollato dal pentito Salvatore Bonaccorsi come «una macchina da soldi nel settore degli investimenti», ma non solo. Buda a Catania avrebbe allungato i tentacoli in attività commerciali, parcheggi, appalti e politica ma anche all’interno dell’Istituto autonomo case popolari. Al suo servizio si sarebbero mossi tre uomini in divisa, tutti finiti indagati. Oltre a Campisi, adesso in pensione, nell’elenco ci sono Carmelo Longhitano e Attilio Topazio, quest’ultimo già sospeso dal servizio per altre grane giudiziarie.
Al centro della vicenda un immobile, a uso commerciale, nel rione villaggio Sant’Agata. Uno dei tanti occupati in città ma che, in virtù di un avviso pubblico della Regione Siciliana risalente al 2018, poteva essere regolarizzato. Materia d’indagine da parte della guardia di finanza diventa così un controllo della polizia municipale effettuato ad aprile 2018. Quando gli agenti bussano alla porta, all’interno della bottega trovano una rivendita di cialde per il caffè e una donna che sostiene di pagare un affitto da 300 euro alla cognata di Buda. Particolare che manderebbe all’aria la possibilità di assegnare l’immobile alla nipote del presunto boss – pure lei indagata – poiché i requisiti del censimento prevedevano una stabile occupazione, da parte dell’interessata, almeno da novembre 2017.
Per questo motivo, scattano le manovre d’avvicinamento a vigili urbani e Iacp. La prima mossa sarebbe stata quella di falsificare il verbale del controllo. Emergono quindi i contatti tra Buda e Campisi. «Ascoltami, Longhitano ha messo: “Ci sono andato tre volte e ho trovato chiuso, non ci sta nessuno“», diceva l’agente per tranquillizzarlo. Dalla relazione di servizio, finita agli atti, emergerebbe l’avvenuta modifica. Un controllo sistemato grazie a un documento falsificato. Ma il piano prevedeva anche la necessità di fare emergere la stabile occupazione da parte della nipote di Buda almeno da novembre 2017. Per questo motivo, la municipale torna nella bottega ad agosto. Un controllo concordato, secondo la procura, poiché la nipote di Buda dichiarava di occuparlo da mesi.
Buda avrebbe goduto anche di un «rapporto privilegiato» con l’allora direttore dello Iacp Calogero Punturo. È lui, per esempio, che consiglia a Buda di non investire nessun altro della gestione della faccenda riguardante la nipote: «Lei deve parlare solo con me», gli diceva. C’è poi una storia parallela in cui emerge l’interessamento da parte del presunto boss per un secondo nipote: Daniele Alfio Amato. L’indagine ha scoperto il piano, non è chiaro se portato a termine, per regalare un orologio a Punturo: «Ci prendo una cosa al direttore – diceva Buda – a lui piacciono quelle cose. Io ci prendo l’orologio, vado da Baldanza (nota gioielleria di via Etnea a Catania, ndr)». A essere realizzato è, invece, il progetto di regalare al dirigente un quadro, realizzato da un noto pittore di Augusta, ritenuto vittima di estorsione. «Antonio, come ti sembra questo per il direttore – chiedeva Buda al nipote – abbiamo preso una bella amicizia, mi sta facendo un favore». La consegna avviene, come monitorato dalla finanza, il 9 ottobre 2018. Quel giorno l’architetto a capo dello Iacp incontra Buda ed è il presunto boss a posizionare il dipinto all’interno della macchina del funzionario regionale.
Successivamente – il 14 ottobre – Buda puntualizzava al direttore altri aspetti di quel regalo. «Io il regalo l’ho fatto a Punturo – diceva – non all’Istituto. Poi quello che vuoi fare fai, lo puoi pure buttare». Una sorta di premonizione perché poco dopo l’architetto finisce allo Iacp di Messina, lasciando disorientato Buda «in quanto aveva un discorso aperto in relazione a un terreno», specificano gli inquirenti. A Catania negli uffici dello Iacp, come accertato dalla finanza, resta anche il quadro.
Aggiornamento del 17 marzo 2021 ore 12.27
Il presidente dell’Istituto Angelo Sicali, a nome del consiglio di amministrazione, precisa che verranno intraprese tutte le azioni idonee per tutelare il buon nome dell’ente. Inoltre Iacp Catania è pronto a costituirsi parte civile in ogni eventuale procedimento giudiziario, qualora dovessero emergere responsabilità di qualsiasi genere o configurarsi ipotesi di reato a carico di ex dirigenti.