Albergo diffuso in Sicilia, Atto II

da Giuseppe Gangemi
ordinario di Urbanistica all’Università di Palermo
riceviamo e volentieri pubblichiamo

È giusto che l’argomento dell’albergo diffuso susciti attenzioni e dibattito dell’opinione pubblica, posto che la stessa attenzione e lo stesso dibattito pubblico non sia potuto avvenire prima della discussione a Sala d’Ercole della legge così imprudentemente approvata mercoledì 24 Luglio scorso.

Se così fosse stato, i nostri parlamentari avrebbero potuto registrare ulteriori contributi migliorativi al testo che, viceversa, appare decisamente raffazzonato nelle finalità, nei criteri applicativi e nella stessa qualità dell’offerta turistica.

Anche i più disattenti lettori non possono non percepire, oltre gli errori e le cantonate già rilevate nell’articolo di ieri, talune carenze che fanno apparire il testo della legge più come una operazione di “taglia e incolla” piuttosto che un testo organico chiaro nelle finalità e corretto nella normativa, soprattutto di quella urbanistica edilizia che più mi compete.

Per esempio, l’art. 4 è stato malamente copiato dall’articolo, sempre col numero 4, della legge regionale della Calabria dell’anno 2008. Persino il titolo è il medesimo: “Elementi di eleggibilità per la localizzazione”, con le stesse caratteristiche di incomprensibilità. Eppure nella stessa legge calabra si conferma che l’altezza minima dei vani abitabili è di 2,70 metri, con la precisazione che soltanto per i vani di servizio e accessori è consentito ridurla a 2,40 metri: e ciò è perfettamente alle norme igienico sanitarie per l’edilizia. Lo stesso articolo 4 calabrese detta la definizione di applicabilità dell’albergo diffuso nella zona A degli strumenti urbanistici, che viceversa è stata asportata e ablata nell’analogo art. 4 siciliano.

La legge partorita dall’Ars è assolutamente priva di qualunque forma di incentivazione e/o di semplice incoraggiamento imprenditoriale: nessun intervento a sostegno, nessuna agevolazione fiscale (per esempio sui contributi concessori), nessuna semplificazione occupazionale (per esempio defiscalizzazione degli oneri contributivi per l’occupazione giovanile).

In altre regioni l’istituzione dell’albergo diffuso è stata agganciata a relazioni di contesto caratterizzate da una valorizzazione dei gusti, dei profumi,  delle enoteche, come per esempio gli itinerari di localizzazione in Liguria con la legge del 2007. L’Emilia Romagna ha addirittura prodotto in allegato alla legge un vero e proprio manuale dei requisiti e degli standards strutturali; cosa del tutto inesistente nell’iniziativa siciliana.

I requisiti per la qualificazione in stelle dovrebbero essere i medesimi delle strutture alberghiere ordinarie, come prescrive la legge dell’Umbria del 2006. In Sicilia no: il comma 5 dell’articolo 3 recita l’esatto contrario della logica intuitiva prescrivendo che i requisiti per la classificazione in stelle siano assolutamente identici a quelle delle strutture extra-alberghiere (sic!).

Le esperienze accumulate in altre regioni italiane, spesso a vanvera citate, ad esempio, prescrivono un vincolo di destinazione d’uso da registrarsi alla Conservatoria Immobiliare di durata non inferiore a dieci anni, in Liguria, a venti anni nelle Marche.

Non è dato di conoscere a quale fonte esegetica si siano affidati i parlmentari grillini della nostra Assemblea regionale siciliana per condurre in porto questa pessima e riduttiva sembianza di legge per l’albergo diffuso; ne è dato sapere perché i responsabili nazionali dell’associazione degli alberghi diffusi non abbiano ritenuto di intervenire in tempo utile a correggere le palesi distorsioni, non solo urbanistiche ed edilizie, ma temo anche giuridiche, per impedire il promulgamento di questa legge.

Sembrerebbe soltanto che le esigenze delle categorie degli albergatori, ripetutamente espresse in varie sedi e a vario titolo, sono rimaste inascoltate almeno negli ultimi tre anni su queste stesse tematiche di iniziative di legge per l’albergo diffuso.

 


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