Una rappresentazione teatrale, Il giardino della memoria, che rievoca uno dei più orrendi delitti mafiosi: il rapimento del tredicenne Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino, ucciso l'11 gennaio del 1996
Al Biondo in scena il delitto del piccolo Di Matteo Il regista: «Simbolo delle violenze più efferate»
Una rappresentazione teatrale, Il giardino della memoria, che rievoca uno dei più efferati delitti mafiosi: il rapimento del tredicenne Giuseppe Di Matteo e il suo assassinio, avvenuto due anni dopo, l’11 gennaio 1996. Protagonista è l’attore Fabrizio Falco per una produzione del Teatro Biondo di Palermo. Si tratta di un monologo che prende spunto dall’omonimo romanzo di Martino Lo Cascio, Il giardino della memoria. Lo spettacolo teatrale debutterà domani, giovedì 31 gennaio, alle 21, nella Sala Strehler con repliche fino al 10 febbraio.
La scena narra dei 779 giorni di prigionia del ragazzo, ricostruiti attraverso un montaggio di materiali documentali e delle deposizioni processuali rilasciate dai responsabili del sequestro e dell’orribile omicidio. Alla banalità del male, che via via emerge dai racconti, fa da contraltare la voce di Giuseppe, che ascoltiamo in un flusso ininterrotto di coscienza mentre cerca di resistere e di dare un senso a quanto gli sta accadendo.
Le scene sono curate da Luca Mannino e le musiche da Angelo Vitaliano. Il piccolo Davide Parisi, che interpreta Giuseppe Di Matteo, prenderà parte allo spettacolo insieme a Fabrizio Falco.
«Ho scritto romanzo e monologo – spiega Martino Lo Cascio – per ridare la parola a chi ha vissuto quell’orrendo supplizio, sbatacchiato tra sette diversi bugigattoli sparsi per la Sicilia. Per usare un’espressione del narratore, penso che un ricordo che si ferma a pochi decenni non rende giustizia a una storia che coinvolge la comunità intera. La memoria deve farsi tangibile in un fatto squisitamente pubblico, collettivo, corale. Penso che lo spazio teatrale sia il posto per eccellenza dove liberare questa voce trasformandola in un parto di vita e di riscatto per quelle ferite».
«Martino Lo Cascio – afferma il regista Maurizio Spicuzza – nel suo testo dice: Ogni contatto con l’umanità calpestata deve spingerci al pudore. Nessun vocabolario può imitare o superare l’urlo. Tocca arrendersi. Il pudore è proprio la chiave dell’interpretazione di Fabrizio Falco, che rende malinconico e rispettoso il ricordo della vicenda vissuta. Il piccolo Di Matteo diventa simbolo di tutte le violenze più efferate, in cui la vita di un essere umano perde ogni valore davanti alla banalità del male».
Il brutale omicidio di Giuseppe Di Matteo è episodio di cronaca così scolpito nella memoria di tutti che ci costringe a spostare il punto di vista da una dimensione puramente giornalistica ad un’altra evocativa ed intima. Sarà Giuseppe stesso a raccontare il suo calvario ripercorrendo i punti salienti della sua prigionia.
Parallelamente, si aggiungono le deposizioni originali tratte dagli atti processuali, che appaiono agghiaccianti nella loro normalità. Il piccolo Di Matteo diventa simbolo di tutte le violenze più efferate, in cui la vita di un essere umano perde ogni valore davanti alla banalità del male. I ricordi, le speranze, la coscienza della fine diventano per Giuseppe l’unico appiglio alla vita, continuando sempre a domandarsi il perché e a cercare un aiuto che non arriverà mai. Forse, solo dopo la morte Giuseppe potrà immaginare un ritorno a casa: «Eccovi, siete arrivati, vi stavo aspettando, che ci voleva a venire? Mi portate a casa?».