Aharon Shabtai, poeta israeliano del dissenso

Invitato dall’Arci di Catania, in collaborazione con la facoltà di Lingue, lo scrittore israeliano Aharon Shabtai, voce fuori dal coro della letteratura mainstream del suo Paese, ha presentato il suo primo libro tradotto in italiano, “Politica”. Secondo Shabtai “la cultura ha un significato politico perché è espressione della comunità. Politica è pensare in modo collettivo, non individualistico”.
 
L’autore ha letto in lingua originale, l’ebraico, quindici political poems da varie raccolte. Le sue poesie sono caratterizzate da un linguaggio duro, diretto, radicale e anticonformista, con cui Shabtai ha spesso attaccato apertamente l’azione del governo israeliano (il premier Sharon e il ministro della giustizia in particolare), sostenendo che viene propagandata un’immagine liberale dello stato di Israele, costruita attraverso la normalizzazione, che non corrisponde alla realtà dei fatti.
 
“La situazione in Palestina è intollerabile. Attualmente 4 milioni di persone sono imprigionate nella striscia di Gaza. Gaza è come un lager, non ci sono giornali ed è impossibile avere notizie. Dal 2003 è stato costruito un muro di separazione che è dentro i territori palestinesi, non al confine, come si vuol far credere. Il governo spara senza pietà contro i manifestanti pacifisti, che sono israeliani come palestinesi”. Lo scrittore ha anche inviato, in passato, delle poesie al Corriere della Sera, che si è rifiutato di pubblicarle perché contenevano dei riferimenti precisi all’oligarchia del suo Paese, “che strumentalizza i giovani e li manda a morire in nome di falsi patriottismi.”
 
“La società è imprigionata nella violenza, nella razionalizzazione della violenza. È una società inquinata, che non è libera, né al livello individuale, né collettivo. In Israele si continua a vivere nella follia cieca della normalità. In Europa e nel mondo occidentale le guerre vengono appoggiate entusiasticamente. Oppure si tende a discutere su basi poco concrete. Ma basta con i discorsi ideologici intorno al passato. Basta metafisica. Bisogna trovare una soluzione veloce ed efficace. L’unica cosa che conta è salvare la gente.”
 
A questo proposito lo scrittore crede che l’Europa debba avere un ruolo fondamentale nella risoluzione del conflitto. “Gli europei hanno l’obbligo morale di porre fine alla guerra. Ma invece di boicottare il governo israeliano e di sostenere quello palestinese, continuano ad appoggiare il primo. L’Europa dovrebbe spingere per la realizzazione di un processo di pace e per l’esportazione di un concetto di pace europeo, non statunitense. Io non credo in un futuro di pace prossimo. Ma Israele deve riformarsi attraverso la cooperazione e la solidarietà. La soluzione che auspico è quella di uno stato federale, dove possa regnare la convivenza tra popolazioni di etnie diverse.”
 
Per quanto riguarda la copertura del conflitto da parte dei media, Shabtai dichiara: “I media non informano, sostengono il governo israeliano. I più comuni strumenti di satira politica hanno solo creato consenso, non hanno avuto un impatto critico sull’opinione pubblica.”
 
Proprio nei in cui si sta celebrando il 60° anniversario della nascita dello stato di Israele, è stata sulle prime pagine la polemica sulla Fiera del Libro di Torino. Shabtai aveva già rifiutato di partecipare al Poetry International Festival  di Gerusalemme nel 2006 e al Salone del Libro di Parigi di quest’anno, così come alla Fiera italiana, contrapponendosi nettamente alle posizioni di scrittori cone David Grossman, Abraham Yehoshua, Amos Oz. Scrittori con i quali Shabtai è molto duro: “Hanno appoggiato la guerra in Libano. Il governo si serve dell’appoggio di questi scrittori per la creazione del consenso. Credo che i saloni del libro non debbano avere un fondamento politico se non nell’appoggiare un’ideologia umanitaria”.
 
Infine, a proposito della funzione della poesia oggi, Shabtai dichiara: “Bisogna essere attivi emotivamente. E farsi portavoce di un messaggio intellettivo attraverso la comunicazione vera.”


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