A un passo dalla firma di un contratto di locazione, ad una giovane viene chiesto se il fidanzato è «chiddu cà avi la scorta». Ossia il figlio di Ignazio Cutrò, testimone di giustizia rimasto nell'Agrigentino dopo aver denunciato i suoi estorsori, entrato con la famiglia nel programma di protezione. L'imprenditore ha inviato una lettera al prefetto e alla «parte sana e onesta» della sua città
Affitto negato alla nuora del testimone Cutrò La provocazione: «Levateci la cittadinanza»
Legata sentimentalmente al figlio di un testimone di giustizia? Niente casa in affitto. È quanto si è sentita rispondere la fidanzata del figlio di Ignazio Cutrò, imprenditore edile di Bivona, in provincia di Agrigento, ribellatosi al racket nel 1999. La giovane aveva incontrato il proprietario di un appartamento nella cittadina e aveva concordato prezzo e condizioni dell’affitto. Ma dopo qualche ora si è sentita chiedere se fosse fidanzata con «chiddu cà avi la scorta». Alla risposta affermativa della giovane è seguito il rifiuto a stipulare il contratto di locazione. Senza offesa, comunque: «Però m’ha capiri, nun ti l’ha pigliari a mali», le avrebbe detto il proprietario.
Quanto accaduto in questi giorni è solo l’ultimo di una lunga serie di eventi collegati alla scelta dell’imprenditore di diventare – caso raro in tutta Italia – testimone di giustizia rinunciando ad una nuova identità. Prima le intimidazioni per aver denunciato e fatto condannare i suoi estorsori, poi la terra bruciata attorno ad un personaggio scomodo e i problemi legati alla sua sicurezza. Da qui l’impossibilità di lavorare e pagare cartelle esattoriali tanto errate quanto esose. Una quotidianità difficile, affrontata grazie alla solidità della famiglia che, oltre alla criminalità, deve fronteggiare anche episodi di questo genere.
Il testimone, presidente nazionale dall’associazione che riunisce i testimoni di giustizia, ha reagito con un appello provocatorio alla «parte sana e onesta di Bivona» e al prefetto di Agrigento, Francesca Ferrandino. «A quanto pare, siamo quelli sbagliati – ha scritto – Prego sua Eccellenza di toglierci la cittadinanza italiana e dare a tutti questi mafiosi e amici e sostenitori un bel riconoscimento». Senza «pigliari a mali», si potrebbe aggiungere.
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