La frode è stata messa in atto da quattro aziende partinicesi, riconducibili a Ottavio Lo Cricchio, in passato accostato alla famiglia mafiosa dei Vitale. Il prodotto finito veniva venduto in tutta Italia come vino da taglio per la produzione di altri vini o aceti
Acqua e zucchero spacciata per vino siciliano Cinque indagati, un giro da otto milioni di euro
Acqua e zucchero spacciata per vino di origine siciliana e un giro d’affari che in due anni si avvicina agli otto milioni di euro. Una frode in piena regola quella che secondo i militari della guardia di finanza del comando provinciale di Palermo, con la collaborazione dei funzionari dell’ispettorato Repressione e frodi del ministero delle Politiche agricole e forestali, sarebbe stata messa in atto da quattro aziende di Partinico, tutte riconducibili alla stessa persona, Ottavio Lo Cricchio, 56enne partinicese che ha precedenti anche in materia fiscale, truffa nelle erogazioni pubbliche e violazione della sorveglianza speciale e in passato è stato accusato di essere stato vicino alla famiglia di Cosa nostra dei Vitale. I vini prodotti sarebbero stati commercializzati con false denominazioni di origine e indicazioni geografiche siciliane mentre in realtà sarebbero stati ottenuti mediante l’utilizzo di zucchero miscelato con l’acqua.
Eseguiti decreti di sequestro emessi dal procuratore aggiunto Sergio Demontis e dal sostituto Vincenzo Amico nei confronti di un laboratorio clandestino e di uno stabilimento enologico sempre a Partinico. Il sequestro ha riguardato anche 250 quintali di zucchero solido, 300 ettolitri di zucchero già disciolto in acqua e oltre 37mila ettolitri di vini e mosti con indicazioni geografiche e denominazioni di origine contraffatti e sofisticati con zucchero e acqua. In corso anche diverse perquisizioni e sequestri su tutto il territorio nazionale con l’obiettivo di bloccare le partite di vino adulterato distribuite dai cinque indagati nell’inchiesta che rispondono dei reati di contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari, di frode nell’esercizio del commercio e vendita di sostanze alimentari non genuine come genuine.
Le imprese coinvolte nell’inchiesta sono la San Domenico Vini Srl, la società cooperativa Cantina sociale terre del Sud, la cantina Primeluci Srls e la Lariana Wine Trading Srl: avrebbero messo in atto «complessi artifizi contabili grazie all’ausilio di altre società consorelle costituite ad hoc e di cartiere – spiegano dalla guardia di finanza – annotando fittizie introduzioni di mosti, uve e vini, con il mero fine di creare un presupposto di apparente legalità ai prodotti vitivinicoli commercializzati con false denominazioni di origine e indicazioni geografiche siciliane».
Le partite di zucchero di barbabietola e zucchero di canna, acquistate in nero da aziende campane, giungevano presso un vero e proprio laboratorio clandestino gestito da un partinicese di 66 anni, G.G., dove veniva effettuata la miscelazione con acqua con l’obiettivo di preparare falsi vini e mosti. Dopo la miscelazione il prodotto veniva destinato a uno stabilimento enologico di Partinico, dove hanno sede le imprese coinvolte nell’inchiesta, che poi vendeva i vini e i mosti contraffatti e sofisticati ai vari clienti. Grazie alle videoriprese presso il laboratorio clandestino effettuate dalle fiamme gialle di Partinico e alla parallela analisi dei documenti «è stato accertato che tra il 2018 e il 2020 sono stati venduti dalle quattro imprese vitivinicole coinvolte oltre 90mila ettolitri di prodotto a cantine vitivinicole e acetifici dislocati su tutto il territorio nazionale, risultati estranei alla frode agro-alimentare in quanto hanno acquistato del prodotto confidando nella bontà e nella genuinità della provenienza».
«Le aziende – spiegano dalla guardia di finanza – non imbottigliavano vino proprio, producevano sia vino da taglio che mosto che poi veniva utilizzato per la trasformazione in altro vino o aceto, prodotti assolutamente non dannosi per la salute, però non genuini». All’interno del prodotto la quantità di mosto sarebbe stata minima, quanto bastava per «ottenere un prodotti finito attraverso un processo chimico». Una frode piuttosto redditizia, sempre secondo quanto appurato dai militari. «Il volume d’affari calcolato al momento si aggira sugli otto milioni di euro in due anni, il profitto che è stato indicativamente prodotto e quantificato per quanto riguarda la commercializzazione di vini e mosti tra il 2018 e il 2019».