Abruzzo:«Battaglia miope e fuorilegge»

«Sono scandalizzato. Come può il sindacato mettere dei paletti all’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro? E per di più con una norma antigiuridica». Così Franco Abruzzo, storico ex presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia – lo è stato per 18 anni – ed esperto di diritto dell’informazione, commenta la questione degli stages negati. Periodi di praticantato per gli studenti delle scuole di giornalismo annullati a pochi giorni dal loro inizio con una nota della Fnsi. Almeno per quanto riguarda le aziende editoriali che hanno dichiarato lo stato di crisi. Cioè quasi tutte o comunque le più ambite.

 

Una bomba che il sindacato e l’Ordine si rimpallano da settimane, mentre tra i ragazzi cresce il malcontento. Eppure una soluzione c’è, come spiega a Step1 Franco Abruzzo.

 

Professore, Franco Siddi, segretario generale della Fnsi, è stato chiaro: nelle aziende giornalistiche in stato di crisi niente stages, «di qualunque tipo sotto qualunque forma».

«E chi l’ha detto?» (ride)

 

Il sindacato, appunto. Tra il memorandum della Fnsi e il contratto di lavoro nazionale c’è una congiunzione di troppo tra «borsisti (e) allievi». Che sarebbero poi praticanti giornalisti, in questo caso. Tra la grammatica e le definizioni, come stanno veramente le cose?

«Ma è mai possibile che ci si perda in questi dettagli, quando la questione è molto più semplice e generale? Un contratto di lavoro non può limitare una legge della Repubblica. In realtà i praticanti hanno il diritto di svolgere regolarmente i propri stages».

 

Lo si scoprirebbe dopo settimane di polemiche. In che modo?

«Il diritto al lavoro è prevalente a qualunque norma contrattuale. Gli articoli 2 e 3della Costituzione fanno da preludio all’articolo 4, dove il diritto al lavoro è stabilito come principio fondamentale. Come se non bastasse, nel comma 2 dell’articolo 35 è garantito anche il diritto alla formazione. Tutto questo si è concretizzato nella legge 196 del 1997 (artt. 17 e 18 ndr) che permette gli stages. E stiamo parlando solo di diritto interno».

 

C’è anche altro?

«Certo, la norma è doppiamente antigiuridica. Vìola anche il diritto comunitario in uno dei suoi principi fondamentali: la libera concorrenza tra i professionisti. Come può il sindacato mettere dei paletti all’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro? Questa mossa evidenzia tutta la sua arretratezza».

 

Un blocco che sembra voler tutelare i numerosi colleghi costretti al prepensionamento o alla cassa integrazione. Ma è possibile davvero sostituirli con gli stagisti, per soli due mesi all’anno ed escluso il periodo estivo?

«E’ una battaglia sbagliata, miope e di corto respiro. La paura non confessata è un’altra, mi creda. Il rischio per il sindacato è che i giovani possano dimostrare di essere bravi, utili e soprattutto indispensabili».

 

Non sembra certo un grande rischio, considerato che le aziende in stato di crisi non possono assumere.

«Ma possono proporre contratti di collaborazione e assumere nel caso in cui il praticante si dimostri appunto indispensabile».

 

Sembra un controsenso, se si vuole investire nel futuro della professione. Cosa possono fare allora gli stagisti mancati?

«Sicuramente rivolgersi a un legale e impugnare la norma del contratto di lavoro».

 

Ma molti ragazzi temono che questo possa macchiare il loro curriculum.

«Alla vostra età non potete avere questa paura. C’è solo da rivolgersi ai giudici e in più sedi. Milano, Catania, Roma, ovunque».

 

E’ d’accordo allora con la proposta dell’Ordine di fornire assistenza legale a chi ha subito dei danni?

«Mi sembra corretta, anche perché si tratta di un’ulteriore spesa per i ragazzi. A che titolo Fieg e Fnsi agiscono su di loro?».

 

Manca forse una rappresentanza dei praticanti nell’istituzione professionale?

«Potrebbero organizzarsi con la Cgil, la Cisl o la Uil, che da tempo accarezzano l’idea di un altro sindacato dei giornalisti».

 

E fin qui le peripezie per l’accesso agli stages. Ma ci sono altre contraddizioni. Una volta ottenuto il periodo in azienda, qual è il ruolo dei praticanti in redazione?

«Lo stage serve a prendere confidenza, a scrivere ed esercitarsi. Ma per farlo bisogna avere accesso alle attrezzature. Per questo una volta il praticantato esterno veniva svolto nei mesi estivi, quando le redazioni erano più vuote per via delle ferie».

 

Che tipo di esercitazione? Per la Fnsi dovrebbe trattarsi di «mera simulazione», mentre l’Ordine ammette «eccezionalmente» la firma o la presenza in voce o video degli stagisti. E’ questa la formazione che ci si aspetta per i futuri giornalisti?

«Così diventa umiliante. Il praticante deve andare in giro, cercare le notizie, come si dovrebbe insegnare nelle scuole. Se lo stagista scrive un pezzo solo basandosi sui lanci delle agenzie, non lo firma. Verrà corretto da un tutor e servirà come esercizio. Ma se porta una notizia in esclusiva è sua. Non essendo legato all’azienda da nessun contratto di lavoro ha il diritto di scriverla e firmarla».

 

Come si spiega, in questo quadro, che aziende come La Stampa e la Rai selezionino personale a tempo determinato tra i laureati e i laureandi che con le scuole e il praticantato non hanno niente a che vedere?

«Una volta ai concorsi erano ammessi anche i diplomati, ma poi vincevano spesso i laureati. Adesso è lo stesso, i praticanti non dovrebbero avere paura. Chi studia giornalismo avrà comunque maggiori possibilità di accedere a quel posto. E poi non per forza va visto come un sistema negativo: si tratta comunque di una selezione, più trasparente delle assunzioni per via personale».

 

Ma con il contratto come la mettiamo? Sarebbe di tipo giornalistico?

«Per forza. Se vogliono inserirli nell’organico, l’unica possibilità che le aziende hanno è di stipulare un contratto di praticantato. Magari a tempo determinato, senza necessariamente concludere i due anni che servono per gli esami di stato per diventare professionisti. Fino all’anno scorso esisteva la figura dei praticanti in formazione: percepivano uno stipendio misero, intorno ai mille euro, e il loro lavoro era a termine. Potrebbe essere una soluzione anche adesso, almeno per un periodo di apprendimento, ma il vero dramma è che in questo momento non c’è elaborazione».

 

Quali altre possibilità intravvede? Oltre alla riduzione del numero delle scuole di giornalismo, che lei da tempo si augura.

«Quello è il punto principale. Basterebbero 7 scuole anziché 17, invece di continuare a prendere in giro i giovani e le loro famiglie. Un buon compromesso potrebbe però essere quello di apprendere la pratica nei giornali e frequentare un master per la teoria».

 

Niente stages, almeno.

«Se massacriamo i giovani, che futuro prepariamo alla nazione? Ma questa è una parola che voi non avete nemmeno mai sentito nominare».


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