“Abolizione delle Province o sostituzione della democrazia con il sottogoverno?

da Helga Marsala
riceviamo e volentieri pubblichiamo

Sullo storico, rivoluzionario provvedimento per l’abolizione delle Province in Sicilia, il centrosinistra si esprime compatto. Favorevole al taglio, in perfetta sintonia con la compagine a cinque stelle. Eppure, tra la gente di sinistra – quella più attenta, più smaliziata e più addentro ai meandri opachi della politica – i pareri discordi non sono pochi, soprattutto dietro le quinte o tra i circuiti di informazione meno allineati. Pareri che convergono con la linea dell’opposizione e, dunque, della destra. Ovvero? L’idea che dietro l’osannata rivoluzione del taglio degli organismi intermedi si celi solo un pasticcio. Una legge incompleta, sbagliata, raffazzonata, un’azione di propaganda più che un’azione di governo. Una mistificazione. Dietro cui si nasconderebbe altro e che condurrebbe verso ulteriori inefficienze amministrative.

Una legge, quella appena approvata dal Parlamento siciliano, che va a favore dei grillini (i veri accaniti sostenitori della faccenda) e che è stata improvvisamente sponsorizzata dal Governo, col Pd in prima linea, solo per necessità di numeri ed equilibri, oltre che di “immagine”. È il famoso “Modello Sicilia”, appeso a una non-maggioranza e al benevolo ‘ricattino’ dei “cittadini”, fondamentali per la governabilità. Il tutto riuscendo a far digerire la manovra agli alleati (l’Udc), non certo per una questione di ideali, quanto per un fatto di raggiunte intese e vicendevoli supporti.

Nel mentre, in attesa di fare chiarezze sulle normative future, si commissariano le 9 Province siciliane agonizzanti: qualcuno, dall’alto, sceglierà chi controlla, anziché rischiare di finire, democraticamente, al voto. E se tra un anno le norme non ci saranno ancora? Si farà una proroga per i commissari, che problema c’è?

La verità è che con la parola “tagli”, venduta e svenduta a casaccio, come se fosse la panacea di tutti i mali, si sta riducendo la politica a un triste gioco di pallottoliere. Fare economia e razionalizzare le risorse è ben altra cosa: governare con criterio significa accordare le necessità di ‘cassa’ ad una fortissima capacità gestionale e a una reale lungimiranza, mantenendo alto lo spirito democratico.

Le Province siciliane saranno abbattute e sostituite da una pletora di Consorzi di Comuni, che non funzioneranno e che non saranno eletti dai cittadini, ma gestiti tramite nomine politiche dirette. Una bella conquista, davvero. Nell’incertezza assoluta – ad oggi – di come gestire e smistare competenze, personale stabile, impegni finanziari.

E se lo stesso Antonino Saitta, presidente della Provincia di Torino e vicepresidente dell’Unione Province Italiane (UPI), si è pronunciato in termini negativi sulla legge appena approvata, un motivo ci sarà. Alla fine non si risparmierà granché, dice lui. E si otterrà solo una perdita del potere elettivo del cittadino, una complicazione della burocrazia e una scopertura di funzioni e competenze (scuole, musei, giardini, strade…).

Dice Saitta: “In Sicilia si sta facendo una operazione di trasformismo, una legge bandiera che non affronta i veri nodi e che non fa che aggiungere nuova burocrazia: anziché snellire le istituzioni, razionalizzando le Province, si ritorna ai liberi Consorzi. E così si rischia di passare dalle 9 Province attuali a 33 Consorzi e 3 Città metropolitane. Sarebbe questa la semplificazione? L’unica risultato della Legge Crocetta è il Commissariamento delle Province, la sostituzione della democrazia con il sottogoverno”.

Aggiungendo poi una nota sul tema costi: “Se si partisse dai dati del Ministero dell’Economia, e non da inutili slogan, sarebbe chiarissimo a tutti dove intervenire per ridurre la spesa pubblica regionale. La spesa della Regione siciliana, nel 2012, è stata di oltre 9 miliardi di euro, quella dei Comuni di 4,5 miliardi e quella delle Province di 600 milioni”.

Sono le stesse incongruenze e gli stessi pericoli denunciati da Nello Musumeci e Gino Ioppolo, guarda un po’. Solo che Saitta è del Partito Democratico. E allora evitiamo di fare di questa storia una questione ideologica: il buon senso non è di destra, né di sinistra. E la realtà è assai più complessa di una retorica sforbiciata. Oltre gli slogan c’è di più.


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