L'ente che gestisce l'autostrada Palermo-Catania avanza l'ipotesi di aprire la corsia in direzione Palermo, non toccata dallo smottamento. E afferma di non avere responsabilità. Ma il consiglio dei geologi precisa: «In Italia si monitorano le strutture, ma non si controllano mai le interazioni tra le opere e i terreni. Va cambiata la legge»
A19, Anas ottimista su riapertura di una carreggiata E si difende: «Frana distante dall’autostrada»
L’Anas si dice ottimista sulla possibile riapertura della carreggiata dell’autostrada in direzione Palermo, quella che non è stata investita direttamente dalla frana che ha colpito due piloni del viadotto Himera sull’A19. Oggi il presidente Pietro Ciucci ha avuto un colloquio telefonico con Crocetta, rassicurandolo «sul forte impegno dell’Anas a predisporre entro la prossima settimana il progetto di demolizione del viadotto Himera (carreggiata in direzione Catania) e ad avviare alcuni interventi di manutenzione straordinaria sui percorsi alternativi». Secondo quanto comunica l’Anas, «il movimento franoso, che non si è ancora fermato, al momento non ha interessato la carreggiata della A19 in direzione Palermo e che, dopo i lavori di demolizione, sarà possibile valutarne la riapertura a doppio senso di circolazione, al fine di ridurre significativamente i disagi per gli utenti».
Quindi la difesa: «L’Anas non ha alcuna competenza sul versante franato, che peraltro era assai distante dalla sede autostradale, che non ha mai ricevuto né direttive né fondi per la risoluzione del dissesto. Inoltre non risultano pervenute segnalazioni del pericolo da parte degli enti territoriali competenti. Il viadotto Himera – conclude la nota – non aveva necessità di alcun monitoraggio in quanto la struttura, prima dei noti fatti, risultava perfettamente efficiente a seguito dei controlli periodici dei tecnici di Anas».
Parole a cui indirettamente risponde il presidente del consiglio nazionale dei geologi, Gian Vito Graziano, siciliano che spiega: E’ vero che la frana, peraltro di grandissima estensione, era conosciuta e la situazione doveva dunque essere monitorata. Ma in Italia si monitorano le parti strutturali dei viadotti e delle gallerie, i cavi delle funivie, le sezioni impiantistiche, ma non si controllano mai le interazioni tra le opere e i terreni. Questo perché continua ad imperare una visione anacronistica di un territorio statico, laddove è invece scientificamente dimostrato che esso è dinamico, si evolve e reagisce all’inserimento di un’opera».
La visione d’insieme sarebbe dunque a mancare. «Se il pilone del viadotto autostradale è collassato, è evidente che le condizioni dei terreni al contorno si sono progressivamente modificate, sino a superare la soglia di resistenza della struttura. E’ ora che i massimi organi tecnici dello Stato comprendano che la normativa sulle costruzioni deve essere modificata in questa direzione e che è necessario, anzi urgente, prevedere l’obbligo di un monitoraggio geologico periodico dopo la conclusione della costruzione dell’opera. Altrimenti i nodi continueranno a venire al pettine e noi seguiteremo a farci trovare impreparati».