Grande partecipazione per lassemblea sulla Riforma dellAvvocatura organizzata dal Movimento Studentesco: professionisti, studenti e precari hanno esaminato a fondo il testo della bozza proposta dal CNF. Tutti daccordo contro la difesa di uno status quo e di una casta indiana
A Giurisprudenza si processa la riforma
“Esami per fare esami, per fare esami, per fare esami, per fare esami…”, questo è il ritornello che molti studenti di Giurisprudenza non sopportano più di sentirsi ripetere.
Il 27 febbraio, il CNF (Consiglio Nazionale Forense) ha approvato una bozza di riforma dell’avvocatura, fortemente caldeggiata dal Ministro della Giustizia, Angelino Alfano.
Martedì, a Villa Cerami, il Movimento Studentesco Giurisprudenza ha dato vita ad un acceso dibattito, in seno all’assemblea organizzata per discutere dei vari aspetti di un provvedimento di cui si parla da anni e anni e che, effettivamente, non ha mai trovato riscontri pratici.
Il Preside Vincenzo Di Cataldo, intervenuto per aprire i lavori dell’assemblea, ricorda che la legge attuale che regolamenta l’ordinamento forense è datata 1933 e che, da allora, è rimasta pressappoco immutata, salvo piccole modifiche. «Del resto», sospira «si parla di riforma da quando io mi sono laureato, ed era il 1972».
Attualmente, dopo il corso di laurea quinquennale in Giurisprudenza, il neo-laureato si iscrive all’albo dei praticanti, e si prepara a passare due anni a far pratica, appunto, in uno studio.
Dopo questo periodo, retribuito secondo il buon cuore dell’avvocato-datore-di-lavoro, si può accedere all’esame di stato.
«Secondo questa riforma, invece, bisognerà superare un esame per iscriversi all’albo dei praticanti, poi i due anni canonici dei quali il primo, è specificato, senza alcuna possibilità di retribuzione», spiega Domenico Pisciotta, MSG, che aggiunge: «Gli aspiranti avvocati non potranno dedicarsi ad altre attività remunerative. Se, per guadagnare qualcosa, uno volesse fare il barista, dovrebbe farlo in nero.»
Tra gli altri punti analizzati, la partecipazione obbligatoria, per il praticante, ad un corso di formazione, a numero chiuso e a pagamento, che prevede degli esami intermedi ed uno finale. Al termine di questo iter, il non ancora futuro avvocato avrà tra le mani un attestato che gli permetterà di accedere ad un esame di preselezione informatica. Se non lo supererà per tre volte, dovrà ricominciare dal tirocinio. Ma se invece lo superasse, la sua scalata verso la sospirata carriera forense non sarebbe ancora completa. Manca ancora un passaggio: gli esami di abilitazione, prove scritte senza la possibilità di usare i codici commentati.
Lo scopo, secondo i fautori della riforma, è garantire una migliore formazione.
«E perché con un corso fuori dalla laurea? In cinque anni di Università, noi studenti che facciamo?», sbotta Pisciotta.
Una delle motivazioni della riforma è l’adeguamento al resto dell’Unione Europea : in Italia ci sono 210.000 avvocati. In Germania 150.000. In tutta la Francia sono 50.000, quanti nella sola Roma.
«L’alto numero di avvocati è un problema, lo riconosciamo», ammette Pisciotta «ma non si tratta di una causa del malfunzionamento del sistema giuridico, bensì di una conseguenza. Mi domando: perché non obbligare gli avvocati ad andare in pensione, visto che sono liberi di esercitare finché la “grande consolatrice” non li raggiunge»?
Secondo Nicoletta Parisi, docente di diritto dell’Unione Europea, il problema della formazione è centrale, «però quella iniziale non dovrebbe essere così pesante com’è adesso. Bisognerebbe che fosse continua, e professionalizzante. Le proposte, ad ogni modo, devono arrivare dagli studenti, e che non siano attacchi politici, bensì propositivi.»
Superato lo scoglio della formazione, «non bisogna dimenticare che un avvocato comincia ad esercitare realmente la professione quando inizia a studiare le carte per andare in pensione», interviene ironicamente l’avvocato Diego Geraci, membro del Consiglio dell’Ordine Forense di Catania, sottolineando inoltre un aspetto della riforma tralasciato dagli studenti. «E’ previsto un reddito minimo da cui dipenda la continuità dell’iscrizione all’albo». Come se i clienti cascassero dal cielo…
A proposito di soldi, Romilda Rizzo, ordinario di Scienze delle Finanze, analizza un dato taciuto dai colleghi: gli avvocati vengono pagati a prestazione: «Che interesse hanno, dunque, a rendere più rapidi i procedimenti o ad operare esclusivamente nell’interesse dei clienti, razionalizzando il ricorso alla giustizia? In Germania, la retribuzione degli avvocati è a forfait».
A fine dibattito uno studente prende la parola: «Con la scusa dei numeri, dicendo che gli avvocati sono troppi, io credo che si stia semplicemente difendendo una casta, nuova, quella degli avvocati. Come in India. Lì si usa bagnarsi nell’acqua del Gange, lurida, piena di melma. Io? Io mi sento immerso nel… Gange fino al mento.»