I dieci manifestanti che lo scorso 8 agosto si sono arrampicati sui tralicci dell'impianto Usa a Niscemi sono stati accusati di interruzione di pubblico servizio. Per l'avvocato dei comitati «dovranno dimostrare se era in uso per un interesse dello Stato italiano», mentre secondo i rilevamenti dell'Agenzia per la protezione ambientale in quei giorni le antenne erano spente. Intanto il ministro della Difesa ha scaricato sul governo Crocetta le responsabilità politiche della vicenda: «La competenza specifica che è stata innescata dal pronunciamento dell'Iss rimane delle autorità siciliane che hanno preso le loro decisioni»
Muos, nuove denunce per gli attivisti Il legale e l’Arpa smontano le accuse
Interruzione di pubblico servizio. Questa l’accusa rivolta ai dieci attivisti che lo scorso 8 agosto si sono arrampicati sulle antenne all’interno della base statunitense di Niscemi durante una manifestazione contro l’installazione del Muos. A causa della presenza sugli impianti, i militari sarebbero stati costretti a spegnerli temporaneamente. Causando, sostiene la questura nissena, la sospensione del servizio. «Sarà difficile dimostrarlo», ne è convinto Nello Papandrea, legale dei comitati No Muos. «Le antenne sono 46, alcune delle quali utilizzabili come riserve in caso di guasto», spiega l’avvocato. I manifestanti sono saliti solo su quattro di esse, un numero insufficiente per aver potuto costringere all’interruzione di tutte le attività, sostiene Papandrea. Ma a giungere in sostegno dei manifestanti niscemesi, in maniera definitiva e inequivocabile, sono i dati forniti dall’Arpa, l’Agenzia regionale per la protezione ambientale. Secondo i rilevamenti tra l’8 e il 10 agosto – e dunque prima dell’azione di protesta – l’impianto sarebbe stato spento.
Analisi a parte, a giocare a sfavore dell’accusa è la stessa natura della base, non appartenente alla Nato, ma concessa all’uso esclusivo degli statunitensi. «Dovranno dimostrare per quale motivo era utilizzato l’impianto in quel momento, se era in uso per un servizio pubblico di interesse per lo Stato italiano e – prosegue il legale – che le antenne sono state davvero spente». Ulteriore elemento da prendere in considerazione è l’accertamento dell’intenzionalità degli attivisti nel voler proprio interrompere l’ipotetico servizio in corso.
Sul versante istituzionale, intanto, il ministro della Difesa Mario Mauro durante la sua visita di venerdì a Palermo ha scaricato sul governo di Rosario Crocetta le responsabilità politiche della decisione di provvedere a revocare lo stop alle autorizzazioni. «La competenza specifica che è stata innescata dal pronunciamento dell’Istituto superiore di sanità rimane delle autorità siciliane che hanno preso le loro decisioni», ha affermato il ministro, che ha rimarcato il ruolo «semplicemente di contorno» del suo dicastero in «una questione di carattere giuridico che mi sembra sia stata risolta».
E mentre sul territorio e nei corridoi dei palazzi proseguono le contrapposizioni tra le parti, sul lato giudiziario si registrano segnali che fanno ben sperare i comitati. Durante l’udienza della camera di consiglio al Tar sulla sospensione della revoca delle autorizzazioni ai lavori i giudici hanno disposto la discussione del ricorso per il 27 marzo, assieme al ricorso presentato dal Comune di Niscemi. «È una decisione che lascia qualche speranza che venga accolta – afferma Nello Papandrea – Significa che ci sono i fondamenti per poterne discutere». Una notizia che non apporta significativi cambiamenti allo stato delle cose – «i lavori per quella data saranno conclusi» – ma che viene accolta positivamente dagli oppositori dell’impianto Usa.