Dal 15 ottobre scatta l'obbligo per i lavoratori pubblici e privati di esibire la Certificazione verde. Proviamo a sciogliere i principali dubbi con Vincenzo Silvestri, fondazione consulenti del lavoro, e Adriano Bertolino, esperto di normativa sulla privacy
Green pass e come organizzarsi nei luoghi di lavoro «Bisogna garantire la massima riservatezza dei dati»
Green pass. Una delle parole più pronunciate da qualche mese a questa parte. Da domani la certificazione verde sarà obbligatoria nei posti di lavoro, sia pubblici che privati. Come disposto dal governo guidato da Mario Draghi, l’obbligo resterà in vigore almeno fino al 31 dicembre, quando è prevista la fine dello stato d’emergenza. Possono ottenere la certificazione verde i vaccinati ma anche chi è guarito dal Covid-19 e chi si sottopone, ma in questo caso per un arco di tempo limitato, a tampone. In questo quadro sono tanti gli interrogativi sulle modalità di controllo dei green pass, anche perché sono previste delle sanzioni. Chi non sarà in regola, per esempio, verrà rimandato a casa senza avere diritto alla retribuzione e alla maturazione dei contributi.
«La norma, in via generale, sottolinea che non vanno applicate sanzioni disciplinari – spiega Vincenzo Silvestri, presidente della Fondazione consulenti per il lavoro durante il programma Direttora d’aria su Radio Fantastica-RMB – Il controllo può essere fatto all’ingresso del luogo di lavoro o con una comunicazione preventiva che l’azienda chiede al lavoratore. Se come lavoratore ho comunicato l’assenza di certificazione o al cancello non ho il green pass mi verrà impedito l’accesso. In questo caso abbiamo delle conseguenze retributive ma non c’è una sanzione disciplinare. Cosa diversa è l’ipotesi in cui il lavoratore riesca a eludere i controlli. A quel punto saremmo davanti a un caso diverso e scatterebbe la sanzione disciplinare». Ma quanto bisogna controllare? Per le pubbliche amministrazioni è previsto un tetto di almeno il 20 per cento, a rotazione, dei dipendenti. E per i privati? «Bisognerebbe sottoscrivere una procedura interna e seguirla anche perché non sono state fornite indicazioni precise su questo punto per quanto riguarda i privati», continua Silvestri.
Nel caso di una piccola azienda con meno di 15 dipendenti la sospensione, dopo il quinto giorno di assenza perché non muniti di green pass, vale per un massimo di 10 giorni – rinnovabili una sola volta – per consentire la sostituzione del lavoratore. Il decreto precisa però che non ci saranno conseguenze disciplinari e si avrà diritto alla conservazione del posto di lavoro. Cosa succede se si arriva al 20esimo giorno senza che il lavoratore abbia provveduto a presentarsi munito di green pass? «La norma è stata scritta in maniera un po’ confusa – continua Silvestri – Cosa possa succedere dopo 20 giorni non è dato saperlo. Se il lavoratore ottiene il green pass invece può rientrare regolarmente».
Uno dei nodi al pettine riguarda anche l’applicazione della normativa in materia di privacy. «A controllare le certificazioni dovrebbe essere il datore di lavoro ma è stata concessa la possibilità di delegare un terzo soggetto da collocare preferibilmente ai varchi d’ingresso – spiega Adriano Bertolino, referente per la Sicilia dell’associazione Data Protection Officer – Le aziende non potranno tenere traccia delle scadenze dei green pass dei propri dipendenti: «Non è prevista nessuna forma di raccolta dati – continua Bertolino – C’è stato una sorta di chiarimento per particolari lavoratori, come quelli soggetti a turni, che possono fornire preventivamente ai datori di lavori, entro 48 ore dall’inizio dell’attività, la mancata disponibilità della certificazione». Per controllare i certificati, inoltre, bisognerebbe usare un dispositivo aziendale: «Si tratta comunque di un trattamento dati e deve essere controllato e monitorato dall’azienda stessa».