Leggendo le carte dell'inchiesta che ha portato all'arresto del numero uno di Girgenti Acque il pensiero corre ad Antonello Montante. E il cognome in effetti compare, ma è riferito alla moglie di un carabiniere. Uno dei tanti che avrebbero fatto favori
La rete clientelare alla base del sistema Campione Le amicizie nei servizi segreti e i contatti in Tunisia
Dopo avere dato un’occhiata alle 1500 pagine del
decreto di fermo, firmato dai pubblici ministeri Salvatore Vella, Antonella Pandolfi, Paola Vetro e Sara Varazi, fare la ricerca testuale è naturale: Montante. E in effetti il nome dell’ex numero uno degli industriali siciliani e paladino di un’antimafia di facciata viene fuori decine di volte. Ma è solo un omonimia: tolto un accenno in un’intercettazione in tema di white e black list, il resto delle volte il riferimento è alla moglie di un maresciallo dei carabinieri. Solo uno degli esponenti delle forze dell’ordine coinvolti nell’indagine Waterloo che ieri ha portato all’arresto di otto persone, tirando in ballo nella veste di indagati anche nomi eccellenti della politica. Casualità a parte, quello che ruotava attorno a Marco Campione – l’uomo che per anni ha avuto in mano, con Girgenti Acque, la gestione del servizio idrico nella provincia di Agrigento – sarebbe stato un sistema. E, come quello ricostruito dai magistrati di Caltanissetta su Montante, basato su corruzione, infedeltà alle istituzioni e continui raggiri.
Una fortuna imprenditoriale costruita a partire da metà anni Duemila, Campione, 60 anni da compiere, è ritenuto il
vertice di un’associazione a delinquere che negli anni gli avrebbe concesso di arricchirsi sulle spalle del pubblico e – se si pensa alle infinite criticità idriche vissute dalla provincia in tema di acqua e depurazione – dell’ambiente. Capace di guadagnarsi anche i favori della società di revisione Deloitte&Touche (sede di Bari), l’imprenditore avrebbe usato la Girgenti Acque «con il fine prioritario di portare liquidità alle società del gruppo Campione». Avrebbe trasformato – si legge nel decreto – «una società di scopo che doveva gestire un servizio pubblico essenziale» in uno «strumento asservito ai suoi interessi di bottega». I meccanismi sarebbero stati molteplici: dalla gestione delle gare di appalto senza rispettare le procedure a evidenza pubblica, che avrebbero portato tra il 2013 al 2017 ad affidare quasi 40 milioni di forniture e servizi a imprese della famiglia, all’imporre a Girgenti Acque «di non fare magazzino, cioè – specificano i magistrati – di non acquistare preventivamente il materiale utilizzato normalmente dall’azienda in quantità importanti (tubi, raccordi, pozzetti ecc.), che avrebbero consentito risparmi sui costi ma facendo acquistare i medesimi materiali alla bisogna presso la sua G. Campione spa».
Girgenti Acque, però, sarebbe servita anche ad altro. La società, con i suoi trecento dipendenti, avrebbe avuto la funzione anche di ufficio di collocamento per l’articolata rete clientelare messa su da Campione. A finirci dentro sarebbero stati politici ma anche uomini delle forze dell’ordine. In un territorio dove la difficoltà di trovare lavoro rischia di diventare un problema per tutti, avere amici è importante. Ed è in quest’ottica che, secondo i magistrati, diversi uomini in divisa avrebbero sfruttato il proprio ruolo per agevolare l’imprenditore agrigentino. Tra i favori – e qui ritorna alla mente la figura di Montante – ci sarebbero stati anche accessi abusivi alle banche dati per scoprire se ci fossero indagini in corso sul proprio conto.
Nel febbraio del 2015, un finanziere rivelò al proprio superiore di essere stato avvicinato da un poliziotto e da un uomo appartenente ai servizi segreti interni, con la scusa di un passaggio in auto. «Guarda che me lo puoi dire. Accetto pure un “non te lo posso dire”», avrebbe detto l’uomo dei servizi, che vanta un’amicizia con Angelino Alfano (non indagato, ndr). Poco prima aveva chiesto
se ci fossero intercettazioni in corso nei confronti di Campione. «Siccome so che vai a cena con i carabinieri che se ne stanno occupando…», avrebbe aggiunto l’uomo, un tempo poliziotto ad Agrigento. Le domande non erano casuali: a quel tempo Campione era indagato e dieci mesi dopo sarebbe stato arrestato nel blitz Duty Free. Per i magistrati, l’imprenditore aveva saputo di essere monitorato già dal 2014. Nel corso di una cena in compagnia di un altro agente dei servizi e dell’ex sindaco di Pantelleria Salvatore Gabriele (indagato), Campione «si lamentò di una eccessiva attenzione della guardia di finanza nei suoi confronti, dicendo addirittura che lo avevano velatamente accusato di essere un mafioso».
Tra i motivi che hanno portato al fermo d’urgenza di Campione c’è il pericolo di fuga all’estero. Un’ipotesi ritenuta ancora più concreta alla luce della sentenza con cui, il 10 giugno, il tribunale di Palermo ha dichiarato il fallimento di Girgenti Acque. Sentenza a cui, in futuro, potrebbero seguire altri sviluppi. Fuori dall’Italia, Campione avrebbe diversi appoggi. Nel corso degli anni con le risorse della società sarebbero stati pagati viaggi in Svizzera, dove l’imprenditore avrebbe dei conti correnti, Francia, Libano, Regno Unito e Tunisia, tutti paesi in cui Girgenti non dovrebbe avere interessi. Di maggiore interesse sarebbe il paese nordafricano. Campione avrebbe infatti nella Tunisia un punto di riferimento, una terra in cui coltivare interessi economici e contatti politici. Le ultime trasferte sarebbero avvenute nelle scorse settimane. Un particolare ha insospettito gli inquirenti: «Non è stato possibile accertare come abbia raggiunto la Tunisia negli ultimi viaggi in quanto sono state accertate soltanto le tratte aeree Tunisi-Palermo e non le tratte che hanno consentito di raggiungere la Tunisia – si legge nel decreto -. Ciò consente di ipotizzare che Campione possa spostarsi agevolmente in Africa, senza essere facilmente monitorato dalle forze di polizia, sfuggendo a una eventuale cattura».
In Tunisia, Campione sarebbe andato anche in compagnia di altri: nel 2014, l’imprenditore partì insieme al tenente colonnello della guardia di finanza Giuseppe Marchese (non indagato), che successivamente sarà nel gabinetto dell’ex ministro dell’Ambiente Gian Luca Galletti, e con Giorgio Fanara (non indagato). Nativo di Marsala, quest’ultimo è stato a Roma uno stretto collaboratore di uno assessore della giunta guidata da Virginia Raggi e, in tempi più remoti, candidato al Consiglio regionale del Lazio in quota Forza Italia. Sentito dagli inquirenti, Fanara, che vanta un’amicizia con l’ex capo centro dei servizi segreti italiani in Tunisia, ha negato di avere conosciuto Campione, salvo poi ravvedersi nel momento in cui gli è stata mostrata la fotografia. L’uomo, che avrebbe in prima persona interessi nel paese nordafricano, ha affermato di non ricordare di avere fatto un viaggio insieme a Campione, mentre ha detto di avere conosciuto, tramite Marchese, un imprenditore interessato a ottenere una concessione per lo sbancamento di sabbia da importare in Sicilia. La conferma che Marchese, Fanara e Campione siano partiti insieme per la Tunisia, per un viaggio di un giorno, è impressa nei timbri apposti sui relativi passaporti.