L'ex super-poliziotto e poi uomo dei servizi segreti è stato ascoltato in commissione regionale Antimafia. Ha parlato del coinvolgimento nelle indagini dopo la strage di via D'Amelio, dove vennero ammazzati Paolo Borsellino e gli uomini della scorta
Via D’Amelio, in Antimafia parla Bruno Contrada «La procura e La Barbera erano impreparati»
«La Barbera? Era stato un ottimo funzionario di polizia, ma forse di mafia ne sapeva meno di mia madre». Arriva alla fine di una lunga audizione uno dei passaggi più interessanti, e a suo modo colorito, pronunciati da Bruno Contrada, l’ex superpoliziotto oggi quasi 90enne, la cui figura proietta ombre sulla storia siciliana a cavallo tra anni Ottanta e Novanta. Contrada è stato ascoltato oggi dalla commissione regionale Antimafia presieduta da Claudio Fava, nell’ambito del supplemento di indagini sul depistaggio di via D’Amelio. All’epoca della strage in cui perse la vita il giudice Paolo Borsellino, Contrada lavorava da tempo per il Sisde, il servizio segreto civile. Ma per quanto ciò avesse dovuto escludere un coinvolgimento diretto nelle indagini coordinate dalla procura di Caltanissetta, fu uno dei primi a lavorare. A chiedergli una mano, l’allora procuratore capo Giovanni Tinebra. Contrada, cinque mesi dopo, sarà arrestato su richiesta della procura di Palermo.
A guidare quell’indagine però c’era anche Arnaldo La Barbera, l’uomo che fu messo alla guida del gruppo Falcone-Borsellino e che convinse Vincenzo Scarantino a collaborare con la giustizia. Nonostante – sarà poi accertato – con la strage di via D’Amelio non c’entrasse nulla. «Aveva sempre prestato servizio nel Nord Italia. Quando è venuto a Palermo non sapeva neanche cosa fosse la mafia», ha detto Contrada di La Barbera. Aggiungendo che subito dopo le stragi ci sarebbe stata una «impreparazione generale, e ci metto anche il Siste dove, tranne me e qualche vecchio sottoufficiale che stava per andare in pensione, c’era lo zero assoluto». Contrada ha ricostruito anche il modo in cui è stato coinvolto nell’indagine. «Mi chiamò il genero del capo della polizia di allora, Vincenzo Parisi, e mi disse che mi sarei dovuto presentare il procuratore di Caltanissetta Gianni Tinebra – ha ricostruito Contrada – Io non lo conoscevo e non sapevo neppure come si chiamasse. Quindi la sera del 20 luglio, intorno alle 20, andai al palazzo di giustizia ed ebbi questo incontro con il dottor Tinebra».
Nel racconto di Contrada, Tinebra avrebbe ammesso la propria carenza di informazioni sulle dinamiche mafiose palermitane e, per questo, avrebbe chiesto a lui di fornire un contributo. «Uscendo da un incontro, mi chiesi come avrebbe fatto a condurre un’inchiesta su atti di quel genere», ha commentato Contrada. L’ex poliziotto – la cui condanna per concorso esterno in associazione mafiosa nel 2015 è stata annullata dalla Corte di giustizia europea, per motivi inerenti la mancata codificazione del reato – ha ammesso di essersi trovato a Palermo il giorno dell’attentato a Borsellino, ma di esserci perché in congedo e comunque di non essere stato in città, ma in barca. «Rimasi particolarmente colpito dalla morte di Paolo Borsellino. Non ho mai detto di essere suo amico, ma ho detto – ha sostenuto Contrada – che tra me e lui c’erano ottimi rapporti professionali: lui da giudice istruttore e io da funzionario di polizia giudiziaria».
Sulle iniziative investigative intraprese, Contrada ha spiegato di avere lanciato «l’idea di un’attività informativa del Sisde sulle famiglie di mafia, come i Madonia, sulla strage di via d’Amelio». Netto, invece, il giudizio su Scarantino. «Ho fatto polizia giudiziaria per più di venti anni a Palermo e ho conosciuto centinaia di mafiosi, studiandone la mentalità e il comportamento, e posso dire che se io avessi trattato Scarantino dopo 24 ore mi sarei accorto che era un cialtrone e che raccontava cose non vere», ha detto Contrada. Specificando di non averlo mai incontrato, anche per via del proprio arresto arrivato a dicembre del ’92.