Al capoluogo etneo resta la maglia nera. Per di più, nel primo semestre del 2020, il dato torna ad avere una sola cifra. «Come è possibile che i catanesi mangino il doppio dei cittadini dell'hinterland?», si chiede sarcastico l'assessore. Guarda le classifiche
La raccolta differenziata a Catania va di male in peggio Cantarella: «Colpa dei turisti dei rifiuti e dei cassonetti»
Di male in peggio. Non solo il Comune di Catania non riesce a togliersi di dosso la maglia nera per la raccolta differenziata ma, nel primo semestre del 2020, il dato diffuso dalla Srr della Città metropolitana di Catania torna addirittura a una sola cifra: 8,19 per cento, con oltre dieci punti percentuali in meno rispetto a Pedara, che è penultima in classifica. Un numero preoccupante che segna un passo indietro di oltre tre punti percentuali rispetto alla media del 2019, quando si era sfiorato l’11,26 per cento. Cifre comunque molto lontane dagli obiettivi che l’amministrazione comunale aveva fissato oramai due anni fa. «Per leggere correttamente questi dati – spiega a MeridioNews l’assessore ai Rifiuti Fabio Cantarella – bisogna tenere conto di diversi fattori che li influenzano e incrociarli anche con altri dati».
Primi tra tutti quelli che riguardano la produzione pro capite di rifiuti. I catanesi, in questo caso, sono i primi in classifica con 650,08 chili di spazzatura prodotta nei primi sei mesi del 2020. Più del doppio di un cittadino di Santa Maria di Licodia (che è l’ultima dell’elenco con 266,61 chili) e comunque molto al di sopra della media provinciale che è di 482,56 chili. «Questo significa che a Catania i cittadini mangiano di più e, quindi, producono più rifiuti?», si chiede sarcastico l’assessore leghista che poi si fa subito di nuovo serio e torna alla questione dei «turisti dei rifiuti» che, qualche giorno fa, ha esposto anche sul palco per la convention della Lega a Catania. Le «prove del nove» dell’esistenza di questi cittadini residenti in paesi limitrofi più piccoli che depositano la munnizza nel territorio del capoluogo sarebbero più di una.
«Il fenomeno si è reso evidente durante il lockdown dovuto alla pandemia del coronavirus – sottolinea l’assessore – quando in sette settimane nei cassonetti catanesi sono stati buttati sette milioni di chili di rifiuti in meno rispetto al periodo precedente e alla media». Il periodo preso in esame da Cantarella è quello in cui c’era il divieto di spostarsi dal proprio territorio di residenza a un altro, se non per motivi che andavano autocertificati. «Questo ha impedito a chi si rifiuta di fare la raccolta differenziata nei propri paesi di portare a Catania tutta l’indifferenziata prodotta», aggiunge. Una riduzione notevole che «ci ha fatto anche risparmiare, in poco meno di due mesi, oltre 800mila euro».
Che ad alimentare le 151 discariche abusive censite nel territorio del capoluogo etneo siano anche i pellegrini dell’hinterland lo dimostrerebbe anche un altro calcolo. «Delle 600 multe elevate nei primi sei mesi dell’anno, circa 280 sono state fatte a cittadini che non risiedono a Catania», sottolinea l’assessore Cantarella. Un terzo dei sacchetti abbandonati, dunque, sarebbero lasciti di ospiti indesiderati. «Nel giovedì subito dopo la fine del lockdown – aggiunge per fare un esempio – delle 21 multe di via Borgese, 17 sono state fatte a cittadini provenienti da Misterbianco». Al di là dei rifiuti esotici, i numeri restano allarmanti. «La soluzione definitiva sarebbe togliere tutti i cassonetti in città – ammette l’assessore – ed è quello che prevede il nuovo appalto». In effetti, Catania resta divisa in due: una piccola parte (meno del 10 per cento del territorio che comprende circa 40mila abitanti degli oltre 320 mila) che è gestita con il sistema della raccolta porta a porta e tutto il resto della città in cui ancora, invece, ci sono ancora i cassonetti per strada.