Nato a Macerata ma residente a Belgrado, Tiziano Giovannetti scommette di farcela lì dove la coop gelese Agroverde non è riuscita. Nonostante sponsor eccellenti come Crocetta e Lumia. Dell'impianto si parla anche nelle carte dell'inchiesta su Montante
A Gela ritorna l’idea di un mega-parco fotovoltaico Progetto alla Regione: niente Ciliegino, solo pannelli
Niente serre di ciliegino a energia verde, ma soltanto una distesa immensa di pannelli fotovoltaici. A pochi mesi dalla decisione della Regione di revocare l’autorizzazione alla Agroverde – la cooperativa che a Gela avrebbe dovuto realizzare il parco agro-fotovoltaico più grande d’Europa – un altro privato si fa avanti per sfruttare gli oltre 230 ettari ricadenti nelle località Cappellania, Sant’Antonio e Tenuta Bruca. Un’area che, stando ai piani, dovrebbe ospitare qualcosa come 351mila moduli. Rispetto al progetto di Agroverde, che tanto ha fatto discutere negli ultimi sette anni, c’è una sostanziale differenza: non sono previste serre per la coltivazione di ortaggi, così come invece approvato dalla Regione nel 2013.
L’investitore serbo
L’idea è stata presentata da Agroenergie srl. La società fa parte del gruppo Fintel e fa capo a Tiziano Giovannetti, 45enne nativo di Macerata ma residente a Belgrado. È lui che a novembre ha fatto recapitare all’assessorato regionale al Territorio un’istanza di verifica dell’assoggettabilità alla valutazione di impatto ambientale. Il primo passaggio dell’iter autorizzativo per un’opera che a Gela, negli ultimi sette anni, è rimasta soltanto un’ipotesi. Nonostante il sostegno della politica e i fasti dell’apertura del cantiere: era giugno 2013, quando l’allora presidente della Regione Rosario Crocetta, cazzuola in mano, pose la prima pietra. Presente anche il senatore, e deus ex machina di quella stagione politica, Beppe Lumia.
Le origini del progetto Ciliegino
Crocetta e Lumia furono due dei principali sponsor di Stefano Italiano, l’imprenditore gelese volto di Agroverde. Cooperativa nata a metà anni Novanta e divenuta importante nel settore agroalimentare da riuscire a convincere tutti – tanto a Palermo quanto a Roma – della bontà di un progetto che, a fronte di un investimento di circa 300 milioni di euro, avrebbe dovuto portare lavoro ad almeno 250 persone. Sarebbero state impiegate dentro le serre, mentre sopra di loro i raggi solari avrebbero ininterrottamente garantito la produzione di energia green. Per Italiano, che a fine anni Duemila era stato accusato di riciclare il denaro delle cosche gelesi – salvo poi essere assolto nel corso di un processo in cui è risultato vittima e non complice dei clan – il sogno si è infranto: Agroverde non è mai riuscita a trovare un partner solido da coinvolgere nella realizzazione del parco. Nonostante la girandola di nomi di imprese, anche straniere, e le ripetute richieste di proroga alla Regione. Che a febbraio però ha detto basta, revocando l’autorizzazione.
Da Agroverde ad Agroenergie: l’accusa di plagio
A promettere un futuro diverso adesso è la Agroenergie di Giovannetti. «Le ricadute occupazionali possono essere previste sia in termini di consolidamento di
posizioni lavorative esistenti, sia in termini di nuova occupazione», si legge nella presentazione del progetto. Ma si specifica anche che il lavoro potrà esserci soprattutto per fornitori e ditte appaltatrici coinvolte nella costruzione del parco. Anche perché, a differenza delle serre, i pannelli, una volta installati, hanno bisogno di manutenzione o poco più.
A strabuzzare gli occhi davanti all’istanza della società marchigiana è stato però Italiano. L’imprenditore gelese, con una lettera inviata a marzo alla Regione, ha denunciato quello che di fatto sarebbe uno scopiazzamento del proprio progetto. «Tutti gli elaborati descrittivi e grafici presentati dalla società Agronergie evidenziano che l’area è quella occupata dal progetto Ciliegino», si legge nella nota di Italiano. La rimostranza fa leva anche su una serie di elementi che, secondo l’imprenditore di Agroverde, avrebbero dovuto stoppare sul nascere l’istanza del gruppo Fintel. «In nessun documento risulta chiaro il titolo di disponibilità giuridica dell’area oggetto dell’intervento proposto dalla società Agroenergie srl», attacca Italiano.
Quello del possesso dei terreni è stato uno dei nodi più intricati della vicenda Ciliegino, tra espropri complicati per la difficoltà di rintracciare i proprietari e, nei casi in cui ci si è riusciti, il rischio per il Comune di Gela di far fronte a risarcimenti richiesti dai privati. «Ci aggiriamo su somme che superano i cinque milioni di euro», abbozza una stima il sindaco Lucio Greco, contattato telefonicamente da MeridioNews. Il dito di Agroverde è puntato anche verso le dichiarazioni riguardanti la connessione alla rete nazonale di trasporto dell’energia, ma anche al computo metrico che sarebbe stato stimato al ribasso per consentire di pagare oneri più contenuti alla Regione per istituire la pratica.
La risposta della Regione e la disputa tra i dipartimenti
Alle osservazioni di Italiano, la commissione tecnico-scientifica che collabora con l’assessorato al Territorio ha risposto con una scrollata di spalle. «Non sono attinenti alla valutazione ambientale in oggetto in quanto non riferite agli eventuali effetti sui fattori ambientali prodotti dal progetto, bensì a delle problematiche tecnico-giuridiche non di competenza di questa commissione», si legge nel parere firmato da Xavier Santiapichi, vicepresidente dell’organo guidato da Aurelio Angelini, assente il giorno in cui è stato deciso che Agroenergie dovrà affrontare Via e Vinca.
La posizione della commissione, apparentemente di carattere burocratico, rilancia la disputa che l’anno scorso ha visto protagonisti i dipartimenti al Territorio e all’Energia. Il primo fa capo all’assessore Toto Cordaro, il secondo al collega Alberto Pierobon. Al centro della contesa, sciolta poi da un parere del Cga che ha dato ragione al Territorio, la competenza sulla gestione delle istanze per la realizzazione di impianti. Compresi quelli riguardanti le energie rinnovabili, l’anno scorso finite al centro dell’inchiesta sul duo Nicastri-Arata e sulla corruzione negli uffici della Regione. In quell’indagine è emerso quanto sia alto il rischio di tentativi speculativi in un settore periodicamente interessato da incentivi economici che attirano non solo aziende affermate, ma anche realtà meno strutturate con alle spalle poche garanzie. Finanziarie e non solo.
Montante e la voglia di Ciliegino
Il progetto del parco fotovoltaico è finito anche nelle carte dell’inchiesta sul sistema Montante. L’ex presidente di Confindustria Sicilia – su cui pesa una condanna in primo grado a 14 anni per spionaggio e corruzione, oltre che un’indagine ancora aperta per concorso esterno in associazione mafiosa – sarebbe stato tra le persone interessate al progetto di Agroverde. A sostenerlo è Nicolò Marino, ex magistrato ed ex assessore all’Energia nell’epoca Crocetta. «Aveva un diretto interesse per realizzare le forniture che dovevano servire alla realizzazione del progetto», mette a verbale Marino. Che poi cita la faccenda Ciliegino «a titolo esemplificativo» per parlare dell’influenza che Lumia aveva su Crocetta. «Mi risulta che in più di qualche occasione – aggiunge l’ex assessore – Crocetta e Lumia abbiano sollecitato il dirigente del dipartimento affinché rilasciasse celermente l’autorizzazione».
Come si è visto, però, avere ottenuto il via libera dalla Regione non ha risolto i problemi di Italiano. Anzi di lì a poco il cantiere inaugurato in pompa magna avrebbe chiuso. A riuscirci a lavorare era stato però l’imprenditore Emanuele Mondello che si era occupato di lavori di sbancamento. Nella ricostruzione di Marino, a incidere nello stop erano stati il passo indietro del privato che avrebbe dovuto partecipare all’investimento ma anche i problemi che Italiano aveva avuto per ottenere la certificazione antimafia, dopo che in procura era stato riaperto il procedimento sul presunto riciclaggio. «Per comprendere la situazione – ricorda Marino – nell’autunno del 2013, incontrai in un bar limitrofo all’aeroporto di Catania l’allora prefetto di Caltanissetta Carmine Valente, chiedendogli se vi fossero motivi ostativi al rilascio della certificazione antimafia che non fossero a conoscenza dell’assessorato. Valente – si legge nel verbale – mi rassicurò e mi disse che non c’erano elementi nuovi rispetto a quelli che erano già stati valutati e che avevano condotto al positivo rilascio della certificazione antimafia in favore di Italiano per la realizzazione di un capannone più di un anno prima della presentazione del progetto del fotovoltaico. Ciò nonostante – sottolinea l’ex assessore – mi risulta che il prefetto fece decorrere il silenzio assenso e non rilasciò autonomamente la certificazione antimafia».
Tornando con i ricordi al tavolino del bar, Marino sostiene che il prefetto – «parlando in generale» – avrebbe accennato ai metodi adottati dagli esponenti di Confindustria, e su tutti da Montante. «L’insieme di queste circostanze mi fece comprendere che attorno a Italiano vi fosse l’ostilità degli ambienti di Confindustria Sicilia», dice Marino ai magistrati. Lo stesso poi racconta di una riunione a palazzo di Normanni in cui si sarebbe discusso, alla presenza anche di Crocetta, Lumia e Mondello, di come recuperare i soldi che quest’ultimo vantava per i lavori fatti al cantiere. Si sarebbe ragionato anche di come estromettere Italiano, il cui posto sarebbe stato preso da un altro imprenditore. Marino fa un nome ai magistrati. «Se non ricordo male si chiama Gianluigi Angelantoni».
L’asse Sardegna-Sicilia
Al vertice dell’omonima holding, Angelantoni è un’altra figura in vista nel settore delle rinnovabili. Presidente dell’associazione di categoria scioltasi di recente Anest, negli scorsi anni l’imprenditore perugino ha portato avanti un mega-progetto per realizzare una serie di centrali solari termodinamiche in Sardegna. Anche in queto caso si è parlato di maxi-investimenti che però alla fine non hanno portato a nulla di concreto. A causa, a detta di Angelantoni, di un sistema in cui incidono in negativo «politici assetati di consenso, comitati nimby del no-a-tutto, funzionari pubblici corrivi». In terra sarda Angelantoni portò avanti la propria scommessa con la Archimede Solar Energy (Ase), società che secondo i piani avrebbe operato grazie anche al contributo di investitori giapponesi. I quali a loro volta avevano fatto affidamento su Tiziano Giovannetti. Definito in un articolo del Sole 24 Ore, del 2014, «l’anima del progetto» insieme ad Angelantoni.