Un foglio sotto la targa della struttura di via Orfanelli con gli orari di apertura non più validi, informa che «il consultorio apre saltuariamente». Maria Giovanna Chiavaro di Non una di meno Catania racconta a MeridioNews la situazione critica in città
Lockdown finito ma consultorio più chiuso che aperto Attiviste: «Non c’è alcuna certezza sulla riapertura»
«Il consultorio apre saltuariamente durante la settimana. Più chiuso che aperto. Non chiedete al vicinato, non sa nulla». Una scritta di colore blu su un foglio di carta bianco, attaccato con lo scotch sotto la targa del consultorio familiare dell’Asp di via Orfanelli, indica gli orari di apertura al pubblico non più validi. «Questo cartello ha sostituito quello che era stato affisso da un anziano abitante della zona: “Non chiedete informazioni sul consultorio. Non sappiamo niente”», racconta a MeridioNews Maria Giovanna Chiavaro, una delle attiviste di Non una di meno Catania che oggi ha organizzato una assemblea per denunciare la situazione dei consultori in città.
«Abbiamo conosciuto l’anziano che aveva scritto il cartello – spiega Chiavaro – esasperato dalle richieste di informazioni da parte delle donne che avrebbero voluto rivolgersi al consultorio, ma che lo trovavano sempre chiuso». La struttura di via Orfanelli, alle spalle del Santo Bambino, anche durante la fase di lockdown per il Covid-19 avrebbe potuto essere riaperta dopo le sanificazioni degli ambienti. «Il problema è che non c’è personale – fa notare l’attivista – Ed è una condizione che vale anche per gli altri pochi consultori in città».
Punti di riferimento che, specie in alcuni quartieri, sarebbero fondamentali strutture per la medicina territoriale. «Per garantire il diritto alla salute pubblica, anche riproduttiva, però dovrebbero funzionare – sottolinea Chiavaro – Al poliambulatorio di via Gabriele D’Annunzio, per esempio, ha riaperto l’oculistica ma non la ginecologia. L’impressione – sostiene l’attivista di Non una di meno – è che si reputi meno importante la salute delle donne». Già prima del periodo di lockdown, i consultori erano attivi con organico ridotto. «Gli impiegati che sono andati in pensione non sono stati sostituiti e tenere aperte le poche strutture in città è complicato. Siamo andate a controllare di persona: in molti casi abbiamo trovato chiuso – racconta – e al telefono non risponde nessuno. La cosa più preoccupante è che non si hanno certezze sulle riaperture».
Spazi pubblici e gratuiti indispensabili per la tutela della salute femminile che restano, però, chiusi. «Vogliamo che la Regione ci chiarisca il motivo di questa situazione – aggiunge Chiavaro – Chiederemo che i consultori diventino strutture in cui erogare le pillole per l’aborto farmacologico perché – conclude – è un diritto delle donne che lo scelgono potere abortire in modo meno invasivo gratuitamente e in sicurezza».