Marzia e Daniela sono due siciliane che lavorano nel parco divertimenti in Florida, dopo avere aderito a un programma di formazione. L'ennesima storia di chi è costretto a lasciare l'Italia. «Abbiamo diritto a tornare, non siamo qui per fare una vacanza»
Covid, l’odissea dei siciliani sfrattati da Disney World «Rischiamo di trovarci clandestini, Farnesina ci aiuti»
«Qui sono le quattro e mezza di notte, ma possiamo parlare. Tanto non si dorme da giorni». Prendere sonno, sapendo che tra pochi giorni si riceverà lo sfratto, non è facile. Diventa ancora più complicato se si vive all’estero, in una città costosissima, e fino a tre giorni fa si era certi di poter continuare a rimanere a lavorare, pur con tutte le limitazioni dettate dalla pandemia di Covid-19. A vivere questa esperienza sono Marzia e Daniela, due degli italiani che lavorano a Disney World, in Florida, e che nel giro di pochi giorni hanno scoperto di dovere abbandonare le residenze e trovare un modo per lasciare gli Stati Uniti.
«Lavoriamo in un ristorante di Disney Springs, il centro commerciale all’aperto collegato al parco divertimenti, io prendo le ordinazioni, Daniela serve ai tavoli – racconta Marzia, 30 anni, originaria di Nicosia, a MeridioNews – Siamo qui dalla seconda metà del 2019, dopo avere aderito a un programma culturale rivolto agli italiani che prevede la possibilità di lavorare avendo comunque a nostro carico i costi relativi ad assicurazione sanitaria e alloggio». Un’esperienza non semplice ma che offre comunque l’opportunità di acquisire competenze e mettersi in gioco, specialmente quando in Italia non si trova di meglio. «Poco dopo la laurea in lingue ero riuscita a essere chiamata come docente in un corso di formazione per mediatori culturali. Credevo fosse un primo passo, ma alla fine sono tra i tanti rimasti vittime dello scandalo formazione e da anni attendo di essere pagata», ricorda Marzia.
Per i lavoratori italiani di Disney Springs, la brutta notizia è arrivata a Pasqua. «In un primo tempo credevamo di poter rimanere qui per il periodo della quarantena, ma tre giorni fa ci hanno detto che, entro il 17 aprile, dovremo lasciare gli appartamenti e poi avremo un mese per andare via dagli Stati Uniti», prosegue la 30enne originaria dell’Ennese. Senza lavoro restare è praticamente impossibile. «Qui la vita costa tantissimo e lavorando come runner guadagno un piccolo fisso orario più le mance. Ma tutto si è azzerato nel momento in cui il ristorante si è svuotato», spiega Daniela, 28enne catanese.
Con la prospettiva di rimanere senza una casa né la possibilità di ricevere cure sanitarie, e, se non bastasse, il rischio nel giro di poche settimane di trovarsi nello status di clandestino, è iniziata la ricerca di un modo per tornare in Italia. «Qualcuno ha contattato la Farnesina e si è sentito rispondere che non c’era bisogno di chiamare di notte, mentre chiaramente qui da noi era ancora sera. Al momento ognuno si sta organizzando come meglio può e in maniera individuale», raccontano le due siciliane. «La maggior parte dei voli risulta già senza più posti disponibili, e quando se ne trova uno i prezzi sono stellari», continuano.
Il desiderio però è quello di riuscire a tornare in Sicilia. «Ho trovato un volo con scalo a Mosca, spero vada tutto bene», confida Marzia. In questi giorni, c’è chi sui social network ha criticato l’inteno degli italiani all’estero. Una posizione che indirettamente trova cassa di risonanza nelle polemiche di alcuni politici locali – Cateno De Luca su tutti – che hanno alzato le barricate contro il governo nazionale accusato di non controllare in maniera adeguata i rientri in Sicilia. «Ho letto commenti assurdi su Facebook, c’è gente che ci ha accusati di essere andati in vacanza senza capire che se siamo negli Stati Uniti è perché lì lavoriamo. E adesso vorremmo soltanto poter tornare a trascorrere la quarantena lì dove abbiamo una casa. Nella consapevolezza – concludono – che, non appena sarà passata l’emergenza, con molta probabilità saremo nuovamente costrette a partire. Non per nostra scelta».