Giovanni e Filippo, nel 2013, hanno deciso di prendere in mano il caseificio di famiglia. Di recente hanno anche aperto una linea di lavorazione delle carni. Attività che però non avrebbe attirato le simpatie di qualche allevatore
Agira, furto di animali all’azienda dei fratelli Graziano «Forse qualcuno vorrebbe ci limitassimo ai formaggi»
«Se qualcuno spera di farci cambiare idea, rimarrà deluso. Ricompreremo gli animali e andremo avanti nel nostro lavoro». Per le strade di Agira, in provincia di Enna, del furto all’azienda agricola dei fratelli Giovanni e Filippo Graziano si sa già da oltre un mese. Ma è ieri che i titolari del caseificio aperto nel 2013, dopo la decisione di lasciare le proprie professioni per prendere in mano l’impresa di famiglia, hanno deciso di rendere noto a tutti, con un post su Facebook, quanto accaduto il 17 settembre.
Quella sera, poco prima della mezzanotte, qualcuno ha rubato una quindicina di bovini, senza toccare il resto. Né le centinaia di ovini presenti né le attrezzature custodite nella masseria ristrutturata. Un’azione mirata che, da subito, ha instillato nei titolari il sospetto che dietro al furto possa esserci anche un invito: tornare a fare soltanto formaggi e smetterla di commercializzare carni. «Sin dal principio con mio fratello abbiamo deciso di investire nell’azienda seguendo i metodi biologici – racconta Giovanni Graziano -. Ciò ci ha consentito, pian piano, di ritagliare per i nostri formaggi una fetta di mercato che ci permette di avere clienti in tutta Italia e, a breve, potremmo chiudere qualche contratto con l’estero. Così abbiamo deciso di aprire una linea di produzione per la lavorazione delle carni e forse questo ha infastidito qualcuno».
Sul furto da oltre un mese lavorano i carabinieri, ai quali i fratelli si sono rivolti all’indomani della scoperta. «Per il momento non si hanno novità, ma la speranza è che si possa risalire ai responsabili. Non solo per il valore degli animali in sé, ma anche per dare serenità a chi ha voglia di lavorare in maniera onesta», prosegue l’imprenditore. A mettere in atto il colpo sarebbe stato qualcuno che conosce l’azienda e sapeva quale poteva essere il momento migliore per entrare in azione. «I ladri hanno evitato la zona coperta dalle telecamere e hanno scelto una sera in cui non era in casa la persona di fiducia che vive all’interno dell’azienda», prosegue Graziano.
Inevitabile, dunque, cercare segnali che in qualche modo possano essere ricollegati a ciò che poi è accaduto. Ed è così che viene fuori la questione dei pascoli e delle richieste da parte di alcuni allevatori di potere entrare nei terreni dei privati. «È capitato due volte – rivela Graziano -. In entrambe le occasioni ho risposto che avevamo i nostri capi di bestiame». Per rafforzare i propri diritti ed evitare imbarazzi, i due fratelli hanno aumentato il numero di animali. «In un certo senso abbiamo deciso di occupare i nostri terreni, per dare prova che non c’era spazio per altri – spiega -. Al momento non ci sono prove che ci consentono di dire che i fatti siano collegati, però il sospetto c’è».
Quello dei pascoli abusivi è un tema che in più di un’occasione è finito al centro delle cronache. Per ultimo a Troina, dove il sindaco Fabio Venezia ha citato il fenomeno delle vacche sacre della ‘ndrangheta per denunciare il tentativo di un’azienda ritenuta vicino ai clan di riappropriarsi dei terreni demaniali, gestiti per anni senza bisogno di partecipare a gare e poi sottratti dallo Stato dopo l’emissione di un’interdittiva antimafia. «I Nebrodi sono qui davanti – commenta Graziano -. Anche da noi ogni tanto capita che entrino animali di altri allevatori. E capita pure che si giustifichino dicendo di aver trovato i passaggi lasciati aperti da qualcuno entrato per raccogliere verdure selvatiche». Ora però l’intenzione è quella di non abbassare la testa e rilanciare. «Abbiamo comprato altri ovini e siamo pronti a investire. Nessuno ci farà tornare indietro. Abbiamo le teste dure e la certezza – conclude Graziano – che la Sicilia, quella vera e onesta, è dalla nostra parte».