Nel carcere di Rebibbia ci sono, nel 2011, due detenuti etnei. Sante Fragalà e Gaetano Loria, nonostante il regime di massima sicurezza, stringono dietro le sbarre un'alleanza durevole. Due famiglie così larghe che arrivano a lambire perfino i fratelli Nizza
I clan catanesi alla conquista del litorale capitolino Emigrazione e malavita: il patto tra Loria e Fragalà
«Ci siamo alleati al carcere di Rebibbia, quando eravamo in alta sicurezza tutti e due». È il 2011 e faccia a faccia ci sono Sante Fragalà e colui che diventerà il suo padrino di mafia: Gaetano Loria. La famiglia del primo da diverso tempo ha già lasciato Catania per conquistare il litorale a sud di Roma. «Gli ho spiegato che c’è gente che vende e fa soldi», racconta Fragalà. Un’equazione perfetta per qualunque capomafia. Così convincente che Gaetano Loria i suoi parenti li sposta veramente da Catania alla Capitale. Lui d’altronde non è un personaggio qualunque nel panorama criminale e aprirsi nuovi canali, «per cercare di fare qualcosa e guadagnare», non è male. Loria ha cominciato con gli omicidi e le rapine in trasferta da giovanissimo – nel 1992 lo beccano con cento milioni di Lire in macchina – riuscendo a scalare in poco tempo le gerarchie, fino a diventare il braccio del destro del boss Santo Mazzei, il Carcagnuso.
Ma l’Etna e la Sicilia si trasformano in un ricordo e dopo l’alleanza benedetta da dietro le sbarre la nuova vita scorre tra le vilette di viale Floridia, tra Ardea e Torvajanica, nella provincia romana. «Gli ho trovato una sistemazione – continua Fragalà – e la moglie per non lasciarla senza fare nulla andava a lavorare nella gelateria di mia sorella». In Sicilia restano alcuni parenti di Loria, per esempio una nipote: la moglie del narcotrafficante Andrea Nizza.
Sante Fragalà è come un libro aperto. Dopo una condanna a 26 anni, per duplice omicidio, dal 2018 ha deciso di parlare con i magistrati romani entrando nel programma di protezione. Racconta come Cosa nostra catanese si è impadronita del litorale della Capitale. «Il fratello di Gaetano Loria – continua – si chiama Domenico ed è il responsabile del clan Mazzei nel quartiere di Nesima, a Catania». Poi ci sono i figli: Francesco e Michelangelo. Il primo è finito in manette nei giorni scorsi durante il blitz Equilibri. L’altro è morto a 18 anni il 28 febbraio 2007. Ucciso a pistolettate a Catania, dopo una rapina, mentre attraversava un viale di Librino insieme al fratello Francesco, rimasto vivo per miracolo nonostante un colpo in testa.
Il legame tra le famiglie Fragalà e Loria sarebbe passato anche per un matrimonio. Quello di Alessio Pio Loria, figlio di Gaetano. A fargli da testimone nel 2013 è Salvatore Fragalà, fratello del pentito Sante. «È andato giù e gli ha fatto da compare», svela in un interrogatorio. Una solida simbiosi che a tratti sarebbe stata anche messa in discussione da alcune situazioni: «A Velletri ricevo una lettera da Gaetano Loria – continua il collaboratore – che era proprio deluso dal comportamento di mio fratello. Io ho questa lettera, sono tutte a casa di mia madre». Le forze dell’ordine di missive effettivamente ne trovano tante durante un sequestro risalente allo scorso anno, ma non c’è traccia di contatti diretti tra Loria e Fragalà. Un rapporto epistolare però è effettivamente esistito, come risulta dai rapporti delle carceri di Rebibbia e Oristano. Il nome di Tano Loria, che gli investigatori identificano come il braccio di destro di Mazzei, viene tuttavia fatto in diverse comunicazioni tra il pentito e il fratello Salvatore. In una cartolina, per esempio, si invita a «salutare Tano Loria e i nostri paesani con infinito bene». Nel margine inferiore un’altra frase particolare: «Noi siamo persone, vere, oneste, giuste e di sani principi fatti di sangue vincente e niente e nessuno riuscirà a fermarci».
Nell’inchiesta Equilibri Gaetano Loria non è però finito sotto accusa. Contrariamente al figlio Francesco, sospettato di estorsione. Stesso reato, aggravato dal metodo mafioso, per cui è stato condannato in primo grado nel 2018. Indicato come appartenente di un gruppo, insieme allo zio Domenico, che aveva preso di mira un imprenditore romano del noleggio auto. Il figlio del capomafia frequenta personaggio di un certo spessore criminale. Come l’anziano boss di Cosa nostra Francesco D’Agati. L’uomo della pax mafiosa nella Capitale, indicato come il successore di un personaggio del calibro di Pippo Calò. Ad accompagnare Francesco c’è anche il cognato Daniele Sozzi, sposato con la sorella Santa, anche lui coinvolto nel blitz della Dda. Da Catania a Roma nel segno dell’alleanza mafiosa.