«Un'ipotesi è che a livello regionale si costruisca qualcosa». Il sindaco parla da Roma, dov'è stato per il dissesto. E dove ha consumato la rottura con il partito di Berlusconi. «Mi ha chiamato stamani», racconta. Spingendosi a un endorsement inaspettato
Strappo insanabile di Salvo Pogliese con Forza Italia «Lega o Meloni? Non è momento di scelte affrettate»
«Io ho iniziato a fare politica a 14 anni, ahimè ne ho 47…». Trentatré anni di carriera e mai un ripensamento, mai uno strappo netto. Ci volevano le Elezioni europee 2019 perché Salvo Pogliese andasse via da Forza Italia sbattendo la porta. Al fianco del presidente Silvio Berlusconi a ogni sua discesa in Sicilia, figlioccio di Antonio Tajani che lo dava già per primo cittadino di Catania il giorno del lancio della candidatura, stimato da Maria Stella Gelmini che lo usava come esempio di «buon governo delle nostre amministrazioni». Stavolta, però, Gianfranco Micciché l’ha fatta troppo grossa: candidare Giuseppe Milazzo al posto di Giovanni La Via (ex candidato vicepresidente della Regione Siciliana con il centrosinistra), «è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso». Il sindaco, quindi, se ne va. «Non è stata una cosa facile – dichiara a MeridioNews – Dall’Msi in poi la mia strada è stata quella della coerenza, non ho mai cambiato direzione. Anche quando, negli ultimi anni, sono stato costretto a registrare scelte imbarazzanti che non ho condiviso. Stavolta ho raggiunto il limite: non dare un posto in lista all’unica città metropolitana d’Italia che esprime un sindaco del partito è scandaloso».
Parla da Roma, dov’è stato per incontrare la viceministra dell’Economia Laura Castelli per parlare del dissesto di Catania, e la voce tradisce una giornata di tensione. «Ho ricevuto tantissimi messaggi – continua – Anche di persone completamente inaspettate». E Berlusconi? «Con Berlusconi ho avuto una lunga telefonata notturna ieri, mi ha chiamato alle 23.30, e stamattina ancora, alle 9.30. Mi ha chiesto in ogni modo di non spaccare il partito, fino all’ultimo mi ha pregato di scegliere una donna da inserire in lista, da accoppiare con lui in Sicilia, per mettere fine a ogni possibile polemica. Ma la dignità non si baratta, non si può continuare ad accettare comportamenti fuori da ogni logica». Così alla fine il presidente ha deciso, e tra Pogliese e Micciché ha scelto Micciché: «C’è stato un momento – prosegue il sindaco – in cui sembrava che la linea La Via fosse passata. I vertici del partito erano dalla mia parte: Tajani, Bernini, Gelmini… Poi, dopo l’ennesima telefonata di Micciché…».
Sempre lui, la spina nel fianco. «Io le cose le ho sempre dette in faccia: a causa di Micciché la Regione è stata consegnata nelle mani di Rosario Crocetta, nel 2012; le Politiche del 2013 le abbiamo perse per 120mila voti. Voti di lista, che si sono spostati da un’altra parte. E permettetemi di credere che, su cinque milioni di abitanti che ha la Sicilia, quei 120mila voti potessero venire da qui. Alle scorse elezioni europee, il collegio Isole è stato l’unico in cui il capolista è stato battuto da un candidato che veniva dopo: il capolista era Gianfranco Micciché, sono stato eletto io con diecimila voti di scarto. Alle politiche del 2018, il primo catanese nella lista proporzionale della nostra circoscrizione era Dario Daidone, terzo. Ex deputato regionale con 8500 preferenze. Ripeto: lo hanno messo terzo, una scelta offensiva. Eppure sono rimasto». Lui è rimasto sempre: perfino di fronte all’imbarazzo di vedere il capo di Forza Italia in Sicilia al fianco della ex presidente della Camera Laura Boldrini al porto di Catania, per chiedere la liberazione dei migranti bloccati sulla nave Diciotti. A chi c’era è rimasta impressa nella memoria l’immagine del presidente dell’Assemblea regionale siciliana che arriva al molo di Levante in auto blu e scende con una busta di plastica azzurra: «Presidente, cosa c’è dentro?» «Mutande», risponde, candido.
«So che qualcuno ha apprezzato la sua presenza lì, ma io no». Salvo Pogliese, del resto, in quei giorni si è ben guardato dal farsi vedere nel luogo su cui tutte le televisioni d’Europa avevano gli occhi puntati. «Quel momento è stato la rappresentazione plastica di quanto lui non sia sintonizzato con la nostra società e con il sentire comune». Compagno Micciché, lo avevano soprannominato. E lui sorrideva, con la tessera di Forza Italia ben conservata in tasca. Se Pogliese ci pensa, ancora gli dà fastidio. Forse anche per via dell’invasione di campo. «E vogliamo parlare di quello che ha fatto sull’emendamento regionale Salva Catania? Ancora grida vendetta». Spetta al presidente dell’Ars, del resto, calendarizzare i lavori. E la sensibilità sulla possibilità di dare una mano al capoluogo etneo avrebbe dovuto fare rima con celerità. Che invece non si è manifestata. «Forza Italia a queste elezioni avrebbe dovuto fare quello che hanno fatto tutti: un leader nazionale, Berlusconi, un sardo, un palermitano e un catanese. È saltato Basilio Catanoso; a un certo punto si era fatto anche il nome di Marco Falcone, e ne sarei stato ben felice ma lui non se la sentiva. Poi La Via, forse si poteva accettare – arringa il sindaco – Andarmene, dopo la decisione su Milazzo, era una scelta che non potevo permettermi di non fare».
E adesso dove andrà? In molti lo danno già verso la Lega, altri lo vogliono con Giorgia Meloni, in un remake ben più rumoroso del caso Raffaele Stancanelli. Fratelli d’Italia, di certo, gli stenderebbe davanti il tappeto rosso. E la Lega, probabilmente, pure. «Non ci possiamo permettere decisioni affrettate – frena Pogliese – Non so ancora niente. Dovremo fare, intanto, una riunione con gli amministratori forzisti siciliani. Io non sono da solo, ma voglio rispetto anche per chi ha lavorato con me e ha costruito le basi di questo partito nel nostro territorio. Decideremo insieme». Meglio Meloni o Salvini? «È prematuro parlarne. Una delle ipotesi è che a livello regionale si possa costruire qualcosa di nostro, e io ribadisco che la coerenza è la mia bandiera». Non pensavamo certo di trovarla a lottare fianco a fianco con Matteo Iannitti, sindaco. «Proprio perché apprezzo la coerenza, io Matteo Iannitti alle elezioni europee lo voterei. Cioè, non io: lo suggerirei ai miei amici di sinistra». Ma lei è sicuro? «Sì sì, può scriverlo. A patto, però, che non lo metta nel titolo».