In un volume scritto dal giornalista e amico del mimo parigino Brizzi sono racchiuse tante testimonianze di chi lo ha conosciuto e apprezzato per la sua cultura e la sua gentilezza. Lo aspettavano lì, sul suo gradino di piazzale Ungheria, dove tornava sempre
La storia di Aldo ed Helios, un sogno di libertà Ricordi di un giramondo dalla città che amava
Non si definiva e non era un clochard. Ad Aldo, Aid Abdellah, non piaceva questa etichetta. Non gli piaceva, come parlare del suo passato. Ma quel suo trascorso avvolto nella nebbia ha contribuito a costruire un uomo libero che resterà nella memoria di tutte le persone che lo conoscevano e di chi vorrà conoscerlo, anche attraverso le pagine del libro del giornalista di Tele One Massimo Brizzi, Aldo ed Helios, un sogno di libertà edito da Ex Libris edizioni.
«Volevo che restasse qualcosa di lui», ha detto l’autore qualche settimana fa in occasione dell’intitolazione ad Aldo dei portici di piazzale Ungheria, dove il giramondo francese ha vissuto e dove è stato ucciso a dicembre. Brizzi lo aveva incontrato più volte, era diventato suo amico, e lo aveva anche intervistato. Nel volume è espresso chiaramente il modo di Aldo di concepire la vita e l’autore riporta le sue parole: «Libertà è qualcosa che non si tocca, è qualcosa di raro. E come tutte le cose rare costano molto – diceva -. Sei felice perché hai scelto di pagare un prezzo, un prezzo carissimo». Un presente a Palermo, quello del mimo parigino, che ha lasciato un segno indelebile nelle persone che hanno avuto l’occasione di fermarsi a scambiare qualche parola con lui, magari con la complicità del suo inseparabile Helios: più di un gatto, la sua famiglia. Vanessa la barista, Marco, consulente informatico, che ora si prende cura di Helios, Geppi l’impiegata di banca, e ancora Gaetano, Daniela, Umberto, Gianpiero. Sono diverse nel libro le testimonianze dei suoi amici, che si aggiungono ai tanti, anche all’estero, che aveva Aldo. Lui che «aveva creato una comunità, una sorta di famiglia, libera dai vincoli di sangue e da vincoli canonici». E tornava sempre a Palermo, nonostante i suoi viaggi, e anche di questi spesso si conosceva poco. Sul collare del gatto, ad esempio, ci sono impresse delle coordinate: digitandole si ottiene l’immagine di un belvedere in Arizona, sul Gran Canyon. Chissà quali avventure hanno vissuto lì, insieme.
Non c’è traccia tra le pagine scritte da Brizzi delle parole clochard o barbone riferite ad Aldo, come non c’è traccia nemmeno della cronaca della sua morte, se non per accennare a un rimpianto dello stesso autore. C’è spazio per parlare della sua vita, di ciò che rappresentava per gli altri: un amico, un confidente, un uomo colto «che non chiedeva mai nulla» ma che sapeva molto del mondo e dei meccanismi che lo governano. Lo potevi trovare sempre lì, sul suo gradino, sotto quei portici. Riusciva a capire con uno sguardo, racconteranno gli amici, lo stato d’animo di ciascuno e lo accompagnava in modo quasi docile, come assecondandolo. Forse era questo il suo dono, semplice. Pur non avendo beni materiali, afferma l’autore, è riuscito a regalare al prossimo quello di cui c’è più bisogno: uno sguardo, la gentilezza ed un po’ di considerazione.