I ginecologi? A Catania tutti obiettori o quasi Le femministe: «Qui la 194 non esiste»

«Qui in ospedale ci sono solo i dottori Antonio Maugeri e Sandra Giardinella che praticano l’interruzione di gravidanza».  Tutti gli altri ginecologi dell’ospedale Santo Bambino di Catania sono obiettori di coscienza. Come la dottoressa Gaetana Cannarella: «Sono obiettore di coscienza da quando ho cominciato a lavorare al Policlinico – racconta – Cioè praticamente da sempre». Le ragioni della sua scelta sono tante, «non si possono semplificare senza banalizzarle», ma la prima è la più scontata: «Sono cattolica, non prescrivo nemmeno la pillola». Lei, però, ci tiene a specificarlo, non è «un’integralista, mi rendo conto che alcuni casi bisogna valutarli senza dire un no secco a prescindere». Anche perché, «il compito del medico è informare, e in alcuni casi di malformazioni fetali per prassi si deve comunicare che l’aborto è una possibilità, senza dare giudizi». Ciò non toglie, però, che alcune cose lei proprio non le trovi morali: «Si fa un sacco di diagnosi prenatale, ed è giusto così, ma non si può pretendere di avere il figlio perfetto, anche perché metti che poi a tre anni gli diagnosticano il diabete? O che a sette ha un incidente per strada?».

«Un buon medico non obietta», sostengono invece i gruppi femministi che ieri pomeriggio, davanti alla prefettura di via Etnea, si sono riunite in sit-in. «La legge 194, che permette l’aborto nelle strutture pubbliche, è stata una grande conquista delle donne, ma abbiamo abbassato la guardia e adesso, nei fatti, è in pericolo», dice Anna Di Salvo, dell’associazione La città felice, organizzatrice della manifestazione assieme, tra le altre, a Se non ora quando? Catania, Le Voltapagina e Udi. «In Sicilia – continua Di Salvo – circa il 70 per cento dei medici sono obiettori, per non parlare dei farmacisti cattolici, e adesso la situazione sta per implodere». «In ogni scuola di Catania ci sono almeno tre-quattro ragazzine incinte a 16 anni», afferma Graziella Priulla, docente universitaria. «Faccio corsi di comunicazione di genere alle superiori – spiega – e vedo una grande disinformazione: sono per prime le madri a non voler parlare di sesso e contraccezione con le figlie».

Ad arrivare in ospedale chiedendo di praticare l’aborto, secondo Cannarella, sono per lo più donne giovani, giovanissime, «che vengono da famiglie disagiate o separate: spesso rapporti non sereni con i genitori impediscono di avere un dialogo sulle tematiche sessuali», prosegue la ginecologa. Che aggiunge: «Ma oggi si fa molta contraccezione, quindi la percezione che ho è che il problema sia limitato rispetto a qualche anno fa».

Angela Garofalo è una ginecologa del Policlinico, al presidio ospedaliero Gaspare Rodolico. Obiettore di coscienza anche lei, «ma solo per la 194, come tanti qua dentro». Cioè, lei la pillola del giorno dopo la prescrive, aborti, però, non ne fa. Non tanto perché finirebbe a fare solo quelli, visto il numero esiguo di ginecologi che li praticano, quanto, anche lei, «per ragioni etico-morali».

«Io sono obiettore di coscienza, ma favorevole all’aborto». Adriana Dato, ginecologa al Santo Bambino, sa di non essere esattamente la norma: «Non faccio interruzioni di gravidanza per ragioni personali, non religiose». Ma se fosse costretta da situazioni di particolare necessità, lei sì, opererebbe. Quello che non accetta è che «con tutti gli strumenti di prevenzione e contraccezione di adesso ci sia ancora bisogno di abortire: volendo si può evitare di arrivare a quel punto». Escluse le situazioni limite, quelle di chi non ha gli strumenti economici e culturali per prevenire un problema, «è la poca maturità delle giovani donne a lasciarmi di sasso, perché c’è un’altissima percentuale di ragazze che ricorre all’aborto come se stesse per togliersi un dente». «Ho una grande rabbia – dice Dato – perché ho lavorato nei consultori e non sopporto che in Sicilia siano i maschi a decidere tutto. Quante volte sento dire “Mio marito non vuole”!». Ma «a Catania, si sa, siamo sempre mille anni indietro».

«Forse siamo regrediti al 1978», ironizza Grazia Giurato, del movimento Se non ora quando. «All’indomani dell’approvazione della 194, l’Unione donne italiane aveva stampato un volantino informativo, in cui si diceva che l’aborto non era più illegale – racconta – Io ero nella sede dell’associazione quando si è presentata una donna di 52 anni col volantino in mano, voleva sapere se era tutto vero». Avuta la conferma, la cinquantaduenne si confida: «Era incinta, aveva già cinque figli e voleva abortire, per quello si stava preparando a vendere i mobili di casa: un medico le aveva chiesto 600mila lire e un altro gliene aveva domandate 900mila». In clandestinità, ovviamente. «Oggi è talmente difficile trovare qualcuno che faccia l’operazione che il rischio è che le cose tornino come in quegli anni, quando la legge non c’era».


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All'ospedale Santo Bambino ci sono solo due medici che praticano l'interruzione di gravidanza. Tutti gli altri non vogliono fare aborti. Anche al presidio ospedaliero Gaspare Rodolico del Policlinico sono in pochi. Chi per ragioni personali, chi per motivi religiosi, ma resta il fatto che, secondo le associazioni di donne etnee che ieri hanno organizzato un sit-in per denunciare la situazione «abortire in città è troppo complicato, sembra di essere  regrediti a prima del 1978»

All'ospedale Santo Bambino ci sono solo due medici che praticano l'interruzione di gravidanza. Tutti gli altri non vogliono fare aborti. Anche al presidio ospedaliero Gaspare Rodolico del Policlinico sono in pochi. Chi per ragioni personali, chi per motivi religiosi, ma resta il fatto che, secondo le associazioni di donne etnee che ieri hanno organizzato un sit-in per denunciare la situazione «abortire in città è troppo complicato, sembra di essere  regrediti a prima del 1978»

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