Figure emergenti nel panorama musicale di Palermo, sono cinque ragazzi che, tra i versi di Montale e l’influsso delle serate trascorse al Rocket, propongono l’idea di fare ricerca quando suonano. Meridionews li ha ascoltati
Aria di vetro, primo Ep tra sperimentazione e poesia Studio incessante: «Cerchiamo sempre nuove strade»
Il palcoscenico palermitano, a oggi, non ospita canzoni che durino più di tre minuti e mezzo, le cosiddette canzoni da radio. Le cause sono molteplici: i locali non offrono un ambiente adatto a chi abbia particolari esigenze di strumentazione; i gusti degli avventori, che seguono un determinato modello di serata in cui la musica non è protagonista ma accompagnatrice; e il fatto, infine, che manca la cultura dei festival musicali, organizzati invece nella zona del catanese.
In questo contesto gli Aria di vetro suonano come una novità alle orecchie di chi cerca ancora compositori di progressive in città. Sono cinque ragazzi che si conoscono dai tempi del liceo, che hanno in comune i gusti musicali, ma soprattutto l’idea su come fare musica, che prevede studio e continuo approfondimento delle possibili sonorità. Con un occhio che ogni tanto guarda al passato, a ciò che le band prog degli anni ’60-’70 come gli Area hanno lasciato in eredità, ma in mente percorsi nuovi.
La prima domanda cui rispondono riguarda la storia del loro nome: Simone, paroliere cantante e chitarrista, racconta iniziando dalla poesia Forse un mattino andando in un’aria di vetro: «Montale utilizza questa espressione per sottolineare uno stato di inquietudine, la percezione del nulla che lo circonda. Non a caso vive un periodo di forte crisi dei valori. Secondo me, questa espressione lascia spazio all’immaginazione: è come se l’atmosfera di questa poesia tagliasse costantemente, e ogni ferita inflitta stimolasse una riflessione disperata intorno a un mondo a cui cerchi di dare significato. Ecco perché nei nostri testi non diamo mai risposte definite e circoscritte».
Simone continua poi a parlare di cosa significa per lui scrivere, e delle influenze sia poetiche che musicali: Majakovskij, Montale, ma anche Il teatro degli Orrori, gruppo alternative rock più recente. «Credo che scrivere sia in generale una necessità terapeutica, per me questo bisogno è collegato alla musica. Scrivo in funzione di questo. Un testo cui sono molto affezionato ruota intorno al caso Aldrovandi, ma cerco di non essere troppo diretto quando scrivo e lasciare libertà interpretativa. Solo in pochi versi emerge la mia posizione, come quando scrivo della morte in divisa che ispeziona la notte».
La discussione prosegue, toccando il tema del confronto con gli altri generi musicali; alla domanda su come sia suonare un genere misto tra il progressive rock e il post hardcore in un momento in cui la trap impera sugli airpods, i ragazzi raccontano di un incontro con il critico musicale Red Ronnie, che in vista di una audizione li aveva definiti anacronistici rispetto alla globalizzazione musicale incentrata su trap, indie e musica elettronica, sostenendo che la loro introduzione di 49 secondi fosse troppo lunga e andasse tagliata. Manfredi, il batterista, commenta: «È come fare a pugni con le onde. Non sono d’accordo conl’idea che si debba soltanto andare incontro ai gusti delle persone. Non produce nulla di nuovo, dal punto di vista dell’esplorazione e del dinamismo musicale. Se diamo agli ascoltatori solo quello che già apprezzano, rimarranno fermi sino all’arrivo della prossima moda. È una riflessione che già proponeva Zappa, ai suoi tempi».
Il tastierista Alessio dà voce ai sentimenti del gruppo: «È l’unico modo che sentiamo nostro quando ci esprimiamo. Non sapremmo fare diversamente» mentre Lorenzo, cantante e bassista,osserva: «Noi facciamo ricerca, ci sforziamo sempre di trovare nuove strade, nuove vie, attingendo al moderno della musica underground. Ecco perché, concludono, sono consapevoli che il loro genere risulta inconsueto all’ascoltatore medio, che non trovando sonorità familiari a cui appigliarsi, può essere più portato a rinunciare che a proseguire. Simone osserva: «Oggi c’è una differenza molto più marcata tra mainstream e underground. I gruppi underground sono quelli che sperimentano, cercano di non usare sempre le stesse sonorità, spesso non sono conosciuti dal pubblico di massa». E l’underground è anche un genere che a Palermo, a eccezione di locali come il Rocket e il Roxanne o alcuni centri sociali, non è molto ascoltato. Lorenzo fa notare come l’abitudine a ciò che è consolidato ma anche “vecchio”, appartenente a un periodo storico ormai concluso, sfocia nella fioritura di cover band, elemento fisso della scena musicale palermitana. Rendono gradevole la serata, ma non apportano alcun tipo di innovazione.
Il chitarrista Elio aggiunge: «È difficile portare un genere che non sia l’indie, anche perché i locali sono proprio piccoli. Una volta abbiamo suonato con tre tastiere, e abbiamo avuto grosse difficoltà a muoverci». L’impressione quindi è che a Palermo non ci siano incentivi per ciò che non è di facile consumo, per ciò che richiede concentrazione, pazienza, e non è adatto a fungere da sottofondo. I locali sopra citati offrono ancora, ai fruitori del genere hardcore e progressive rock, la possibilità di ascoltare band che vengono da tutta l’Italia, ma la situazione per i giovani musicisti palermitani non è delle migliori. Proprio per questo motivo, dopo il contratto concluso con la VastoRecords, gli Aria di vetro ammettono di sentirsi molto fortunati ad avere un produttore, perché sanno che oggi non è facile trovarne uno disposto a investire sull’hardcore. Dopo l’EP, uscito il 27 dicembre dell’anno scorso, ci sono in programma una live session e un disco. Dopo l’EP i sogni degli Aria di vetro sembrano essere più concreti: c’è la speranza di condurre la loro musica in più posti possibili, di conoscere e lavorare con persone nuove. Conclude Simone: «Vedere il mondo suonando anche nelle cantine».