Il provvedimento ha colpito in totale 23 persone che avrebbero fatto a vario titolo parte del sistema messo in piedi per evitare che lo Stato potesse mettere le mani sui proventi della famiglia mafiosa che ha governato il mandamento di Resuttana
Sequestro da un milione di euro alla famiglia Graziano Una rete di riciclaggio per non perdere i soldi sporchi
I soldi della mafia reinvestiti in Romania. Su richiesta della Direzione distrettuale antimafia i militari della guardia di finanza hanno messo a segno un sequestro di beni per un valore di oltre un milione di euro nei confronti di 23 persone ritenute complici di Francesco Graziano, in carcere perché esponente dell’omonima famiglia e figlio di Vincenzo, recluso al 41bis perché ritenuto capo della famiglia dell’Acquasanta e reggente del Mandamento di Resuttana. Ai 23 sono contestati a vario titolo i reati di riciclaggio, autoriciclaggio e trasferimento fraudolento di valori.
Le indagini avrebbero permesso di disvelare la rete di connivenze attraverso cui sono state realizzate numerose operazioni di riciclaggio allo scopo di consentire a Graziano di rientrare in possesso di somme di denaro investendole in Romania attraverso la costituzione di una società di diritto locale, il cui rappresentante legale è un dipendente del Comune di Palermo, che si prestava a fare da intermediario tra Graziano e gli altri soggetti coinvolti nelle operazioni di riciclaggio. Gli investimenti all’estero sono stati finanziati attraverso risorse attinte dalle casse di una società formalmente rappresentata da un avvocato del Foro di Palermo (deceduto), ma di fatto riconducibile alla stessa famiglia mafiosa, che ha così reimpiegato introiti di provenienza illecita, al fine di sottrarli all’applicazione di misure di prevenzione patrimoniali. E ulteriori somme di denaro investite all’estero sono state attinte dal ricavato della vendita di un appartamento formalmente intestato a un soggetto prestanome, ma di fatto rientrante nella disponibilità dei Graziano.
Le indagini tecniche e gli accertamenti bancari svolti sul conto del prestanome e dei suoi familiari hanno consentito di riscontrare che una parte dei proventi derivanti della cessione dell’immobile è stata trasferita a due società riconducibili ad un imprenditore siciliano che, attraverso la stipula di contratti con come oggetto compravendite fittizie, ha fatto tornare il denaro alla stessa famiglia mafiosa.