La seconda delle tre inchieste Aspettando il Festival di Perugia racconta con storie e interviste cosa si nasconde dietro la cosiddetta fuga dei cervelli. Se andare all'estero è un dovere per gli studiosi che aspirano al massimo, è pur vero che da Catania non si scappa per amore di scienza. Ma perché il lavoro non c'è
Cervelli oltre lo stretto
Se andare all’estero è un dovere per gli studiosi che aspirano al massimo, è pur vero che da Catania non si scappa per amore di scienza. Ma perché il lavoro non c’è. Recenti dati dello Svimez – Osservatorio per lo sviluppo del mezzogiorno – parlano di 150 mila giovani che ogni anno partono dalle regioni del sud per studiare e/o per lavorare altrove, e i più rischiano di non fare ritorno nelle terre d’origine. Soprattutto in presenza di risorse mediamente più qualificate, rispetto alle esigenze del mercato del lavoro, la fuga verso il “Continente”, ovvero l’ emigrazione intellettuale, è stato un fatto fisiologico. Ma non bisognerebbe farli allontanare tutti gli studenti. «Che i ragazzi si laureino nella propria regione è un bene, per non costringere i genitori a sacrifici economici ingenti e per non disperdere risorse destinate all’Ateneo catanese», dice il preside d’Ingegneria. Tra il 1990 e il 2009 circa 2 milioni e 385 mila persone hanno abbandonato il sud della nostra penisola. Secondo lo Svimez, la vera America resta il centro/nord, dove si dirigono nove emigranti su 10; mentre 1 su 10 si trasferisce all’estero. Viene da chiedersi, allora, cosa abbia infranto il sogno di “Etna Valley” e rotto la rete di relazioni proficue che aveva iniziato a costituirsi negli anni ’90 […].
La crisi – della Fiat a Termini Imerese e in parte dell’ST a Catania – è legata alle scelte di politica economica meridionalista che la Sicilia ha subito dagli anni ’60 in poi. E’ vero che hanno creato sviluppo, ma alla lunga queste scelte non sono state vincenti, perché nel momento in cui sono cambiate le regole della competizione a livello internazionale, i territori in cui erano localizzate le grandi imprese e le multinazionali sono diventati poco competitivi. Scelte che hanno portato la Fiat a smobilitare da Termini Imerese, e l’St a rivedere i propri investimenti nel settore della microelettronica. Non tutti gli ingegneri però sono felici di andarsene. C’è chi vuole rimanere, convinto di poter dare il proprio apporto, anche di alto livello intellettuale, da casa propria, da Catania, per esempio: «Qui c’è tanta gente che ha voglia di scommettersi nel territorio dove è nata e cresciuta. Il problema è che non esistono politiche istituzionali che favoriscano il ricambio generazionale […]. La fuga perenne dei cervelli sussiste perché la classe politica è vecchia, ultra sessantenne, e perché la classe dei lavoratori è pure sessantenne e non lascia spazio ai giovani, o quando glielo lascia, è per firmare una busta paga con tredicesima senza mai percepirla, o per ricoprire posti di responsabilità percependo meno di 800 euro al mese», ci dice uno di loro, emigrato in Olanda, che, amaramente, aggiunge: «Il libero professionista sta “sotto scopa”, aspetta e paga il partito politico di appartenenza per l’assegnazione di un incarico».
Come si fa a impedire che continui questa emigrazione di massa dei giovani dal sud? I problemi sono tanti – ci spiega Franco Garufi, responsabile Mezzogiorno della Cgil – il principale è che esistono al sud due mercati del lavoro: uno regolare, a cui accedono pochissimi giovani, e uno connotato da precarietà di massa, da sottosalario e da sfruttamento, che è diventato la principale forma di accesso dei giovani al lavoro […]. La spaccatura è netta: da una parte c’è chi non trova lavoro e chi non lo cerca più, cioè i “disoccupati” e gli “inattivi”; dall’altra, c’è chi subisce la cosiddetta “mala occupazione”, che è la mancata corrispondenza tra titolo di studio e posizione professionale. A questa fattispecie di lavoro atipico, fanno parte anche il “lavoro in nero”, “temporaneo” e da “sottoinquadramento”; quest’ultimo, per esempio, utilizza un livello contrattuale più basso rispetto alle mansioni che vengono affidate al lavoratore. Ciò significa: meno remunerazione, meno gratificazioni e più frustrazione per un riconoscimento che non arriva mai. La condizione che va superata è questa: occorre ricostruire una situazione nella quale ci sia una capacità di mercato del lavoro regolare che riassuma i giovani, per far questo occorre creare nuovi posti di lavoro qualificato, occorre un grande investimento che il sistema-Paese deve fare per dare una risposta al dramma occupazionale dei giovani nel sud. I giovani, però, devono metterci la loro grande capacità d’innovazione.