Nell'operazione che ha decapitato Cosa Nostra agrigentina, finiscono alcune inquietanti intercettazioni. A parlare del testimone di giustizia è Giuseppe Nugara, ritenuto il vertice della famiglia di San Biagio Platani. Eppure l'imprenditore rischia di uscire dal programma di protezione. «Io resto qui a rompere i coglioni», dice a MeridioNews
Il presunto capomafia intercettato contro Cutrò «Appena lo Stato gli toglie scorta, e poi vedi…»
«Si è rovinato, ha rovinato una famiglia, anche i figli stessi tutti controllati, minchia nemmeno si possono muovere… Appena lo Stato si stanca, che gli toglie la scorta, poi vedi che poi…». Cosa Nostra non dimentica. E aspetta, come sempre. Attende che le istituzioni e l’opinione pubblica si dimentichino di Ignazio Cutrò, l’imprenditore agrigentino e testimone di giustizia che da anni vive sotto scorta per le sue denunce contro la mafia, che hanno contribuito all’arresto dei fratelli Panepinto, i suoi estorsori. È di lui che parla, intercettato dai carabinieri, Giuseppe Nugara, ritenuto il vertice della famiglia di San Biagio Platani. Le inquietanti intercettazioni sono state captate dagli investigatori che oggi, con 56 arresti, hanno decapitato due mandamenti in provincia di Agrigento. Parole pronunciate nel 2014 ma che dimostrano come ancora oggi Cutrò e la sua famiglia – che convintamente non lasciano il loro paese, Bivona – continuino a rischiare. Eppure proprio pochi giorni fa il Tar ha respinto il ricorso dell’imprenditore: per i giudici amministrativi, che hanno dato ragione al ministero dell’Interno, Cutrò non ha più necessità di essere inserito nel programma di protezione. Quindi può restare senza scorta.
Il 6 febbraio del 2014 Giuseppe Nugara deve andare a Bivona per incontrare Giuseppe Luciano Spoto, ritenuto il capo della locale famiglia mafiosa. Per strada, discutendo con un’altra persona (un allevatore non indagato), spiega che Spoto è finito al centro di guai giudiziari per colpa di Cutrò. «L’acido ha fatto questo – dice in riferimento al testimone di giustizia – che poi che minchia c’entrava che doveva dire queste cose, lavorava allora lui». «Si caga addosso», replica l’allevatore. «Si caga addosso certo, ma nessuno niente gli fa, che nessuno si sporca le mani con questo», continua Nugara. Poi i due concordano col fatto che «se lo avessero voluto punire, dovevano aspettare». «È nessuno mischiato con niente – chiosa il presunto capomafia di San Biagio Platani – lui è contro questa cosa, si è buttato contro insieme con gli altri imprenditori».
Cutrò nel 2009 ha testimoniato nel processo Face Off contro Giuseppe Luciano Spoto. In particolare, interrogato in aula, ha raccontato di avere ricevuto un suggerimento da uno dei suoi estorsori: «Mi ricordo che mi ha detto di guardarmi da Spoto perché voleva la sedia», riferendosi alla volontà di quello che oggi è ritenuto il capomafia a Bivona di voler scalare i vertici del clan. Quelle dichiarazioni, cinque anni dopo, tornano oggetto delle attenzioni di Nugara. «Invece di andare a fare, chiacchierare a questo e a quell’altro, tienitelo tu per te e basta», dice senza sapere di essere intercettato.
Ignazio Cutrò vive ancora sotto scorta a Bivona, dopo essere riuscito anche a far approvare una legge a favore dei testimoni di giustizia. Ma la protezione per lui potrebbe scadere da un giorno all’altro. Pochi giorni fa, infatti, il Tar del Lazio ha respinto il suo ricorso sulla decisione del ministero dell’Interno di escluderlo dal programma di protezione e sicurezza. «Quando – ricostruisce l’imprenditore – come fa sempre, il ministero ha chiesto un parere al prefetto di Agrigento sul livello di rischio per me e la mia famiglia, il prefetto ha risposto che, lavorando io da un anno a Bivona e non avendo subito minacce o attentati, non sono più in pericolo». Sulla base di questo parere il comitato per l’ordine e la sicurezza potrebbe revocargli la scorta, ma ancora non si è riunito. Decisione che potrebbe ulteriormente slittare, visto che è di pochi giorni fa il trasferimento del prefetto Nicola Diomede, coinvolto nell’indagine su Girgenti Acque.
«Le parole intercettate nell’ultima operazione – sottolinea Cutrò a MeridioNews – fanno capire l’odio che questi soggetti nutrono verso la mia persona. Ma io a maggior ragione non me ne vado, io resto un testimone che continuerà a rompere i coglioni sul suo territorio. Questa è una zona difficile, come hanno detto i magistrati palermitani stamattina, qui c’è lo zoccolo duro di Cosa Nostra. Rinnovo l’invito a chi valuta il nostro livello di rischio: vengano qui a Bivona, a farsi una passeggiata. Vedranno che, anche se il paese comincia a capire, la gente continua a vivere nel terrore».