Un’isola felice chiamata doppiaggio

Da Harry Potter all’Ultimo Re di Scozia. Da Zodiac a Dawson’s Creek. E poi Doctor House, Kebab for breakfast, ma anche Million dollar baby e Lettere da Iwo Jima. Questi sono solo alcuni tra film e serie tv in cui abbiamo sentito le voci di David Chevalier e Stefano Crescentini, due tra gli esponenti più bravi della quinta generazione di doppiatori italiani.

In questi mesi entrambi hanno lavorato all’edizione italiana dell’ultimo film della saga di Twilight, Eclipse, nelle sale dal prossimo fine settimana, e sono stati i protagonisti del terzo raduno dei fan del mondo creato da Stephenie Meyer organizzato dal cinema Odeon.

Un sabato sera alternativo per centinaia di appassionati del cinema. Pubblico variegato: dalla twilighter più incallita che va in sollucchero sentendo dal vivo una proposta di matrimonio, al cultore che chiede la famosa domanda esistenziale di Donnie Darko «Perché indossi quello stupido costume da coniglio?».

Intervistati da Stefania Tringale, i due doppiatori – che prestano le voci ai “nemici” Edward e Jacob, il vampiro e il licantropo innamorati della stessa ragazza, Bella – hanno risposto a moltissime domande fatte da una platea attenta e preparata su serial, edizioni originali e quanto riguarda il mestiere di doppiatore.

Il mondo del doppiaggio molto spesso vede cognomi uguali. Basta pensare agli stessi Davide (figlio di Roberto) e Stefano (figlio di Domenico), per non parlare delle “famiglie” Izzo, Latini, Lionello, Rinaldi, Ward. Non è una sorta di casta, un mondo chiuso agli estranei?
Crescentini: «Siamo entrati in questo mondo da bambini; non è una casta, ma un’isola felice. Se non sei bravo non continui, anche se sei “figlio di…”».
Chevalier: «Anch’io ho iniziato da bambino. Si comincia per gioco e man mano si cresce lavorando. È una specializzazione del lavoro d’attore, ma è un linguaggio diverso, un linguaggio che va imparato. Quando c’è il talento viene valorizzato; alcuni ragazzi si avvicinano al doppiaggio allo sbaraglio, ma senza basi solide non si va avanti».

Qual è stato il primo personaggio a cui avete prestato la voce?
Crescentini: «Feci Gianni nel vecchio Peter Pan. Avevo otto anni e non arrivavo nemmeno al leggio e al microfono…».
Chevalier: «Io feci uno dei ragazzi in Hook-Capitan Uncino».

Com’è lavorare da bambini?
David: «Mi divertivo, perché mio padre – intelligentemente – me lo faceva fare a piccole dosi. Oggi ci sono bambini che hanno turni mostruosi».

Entrambi avete prestato le vostre voci a cartoni animati. David, Mordicchio in Futurama come si doppia?
«Prevalentemente fa dei versacci, ma in alcuni episodi ha parlato. La prima volta l’abbiamo fatto con un misto di grammelot di dialetti del sud. La seconda volta erano passati cinque anni, era cambiato il direttore di doppiaggio e nessuno si ricordava come lo avessimo fatto. Gli abbiamo dato allora un vocione profondo, molto uguale all’originale americano».

Stefano invece ha fatto Wall-E
«È stata un esperimento divertente. La mia voce è stata trattata – così come quella di tutti i doppiatori delle altre lingue – da un fonico, (Ben Burtt ndr) nella stessa maniera. La voce reale di Wall-E è di un cinquantenne…».

Fare i cartoni è più facile che lavorare sui film?
Crescentini: «Dipende dal film e dal cartone. Quelli giapponesi sono difficilissimi».
Chevalier: «I giapponesi hanno un modo di recitare agli antipodi rispetto agli occidentali. Ne ho avuto conferma durante i provini per Gundam: era venuto il regista in persona, un pezzo grosso in Giappone. Gli abbiamo fatto tutti schifo! Per il loro registro recitativo un attore deve estremizzare, così come il doppiatore. Per noi è difficile adattarci a questo stile».

Avete doppiato film degli orrori?
Crescentini: «Io ho fatto Hostel. C’erano certe scene… Era bruttissimo dover dire la battuta sul primo piano della mozzatura di una gamba. Ci coprivamo gli occhi e chiedevamo “è finita? È finita?”. Faceva un po’ schifo».

Quando andate al cinema e vedete film che avete doppiato, c’è qualcosa che vorreste cambiare col senno di poi?
Chevalier: «Cerco di evitare di andare a vedere film che ho fatto. È una tortura, mi dico “mannaggia, perché l’ho fatta così? Potevo farla diversa” oppure “perché me l’hanno fatta fare così?”».
Crescentini: «È come riascoltare la voce alla segreteria telefonica o rivedere i filmini e chiedersi “oddio, che voce ho?”».

C’è un personaggio a cui avete prestato la voce e che vi sta antipatico?
Crescentini: «Il dottor Chase in Doctor House: è di un cinismo insopportabile. O Stefan ne Il diario del vampiro. Avrei voluto vincere il provino per Damon perché è un personaggio più divertente da doppiare».
Chevalier: «Ce ne sono tanti. Odio Penn Badgley (Dan Humphrey) in Gossip girl: sembra che stia facendo una gara a chi dice per primo la battuta, recita ad una velocità mostruosa. È faticoso».

David Chevalier ha fatto l’adattamento della quarta serie di Csi. Questa fase come funziona?
«È un momento importantissimo: si fa la traduzione letterale e poi l’adattamento che consente di sincronizzare i dialoghi con il labiale, il tutto senza stravolgere il significato. Per un episodio di 45 minuti ci vogliono 4-5 giorni. È un lavoro certosino, ci vuole molta pazienza».

C’è un “pulsante” per cambiare voce?
Crescentini: «Il problema non è la voce in sé. Passare dal romanaccio alla voce profonda, con la dizione perfetta, è un attimo. Il problema è la recitazione: ora sei il vampiro di cento anni Edward Cullen, poi sei un licantropo… torni a casa e hai le crisi d’identità, non sai più che sei!».

Stefano presta la voce a due vampiri “di moda” in questi tempi, a Stefan (ne Il diario del vampiro) e a Edward (Twilight): tra Elena e Bella, le due protagoniste femminili, chi sceglieresti?
«Elena, perché come personaggio esce meglio fuori. Il fatto che Bella sia divisa tra Edward e Jacob mi dà fastidio. Alle volte con Federica De Bortoli (la doppiatrice di Kristen Stewart-Bella) commentiamo le scene dicendo “ma è deficiente? O va da uno o dall’altro”».

Avete mai recitato a teatro?
Crescentini: «Faccio questo lavoro da trent’anni e ho avuto molte opportunità di farlo, ma un po’ per scelta, un po’ per amore del buio della sala di doppiaggio non l’ho mai fatto».
Chevalier: «Mio padre faceva tanto teatro quando ero piccolo e mi chiedevano di salire sul palco, cercando di convincermi in tutte le maniere, ma non ho mai voluto. È tutto un altro linguaggio che non si può improvvisare, ci vuole studio e dedizione e per farlo dovrei accantonare il doppiaggio».

Vi divertite di più nel doppiare Edward e Jacob in Twilight o i fratelli Winchester nella serie Supernatural?
Crescentini: «Sono due cose diverse. È bello doppiare il rapporto tra Dean e Sam, ma anche ricreare il conflitto tra il vampiro e il licantropo e magari scherzare dicendo “levati che puzzi di cane bagnato” o “ti puzza l’alito d’aglio”».
David: «Supernatural lo facciamo da più tempo e abbiamo sviscerato molto bene i personaggi. È più divertente doppiare i dialoghi tra i fratelli, anche perché finora il rapporto di sfida tra Edward e Jacob è platonico. C’è poca “ciccia”».

Avete notato un miglioramento nella recitazione degli attori della saga di Twilight?
Crescentini: «Ho notato in Robert Pattinson un miglioramento crescente e lui stesso è entrato meglio nel personaggio di Edward Cullen. Questo mi ha aiutato moltissimo, perché più lui interpreta meglio il personaggio, più miglioriamo la credibilità della recitazione».

Cosa ci vuole per diventare doppiatore, oltre alla voce e alla dizione.
Chevalier: «Ci vuole orecchio, bisogna saper ascoltare e riproporre quello che ascolti e tanta concentrazione. Tenere un personaggio, capire quello che devi dire e quando in poco tempo è un lavoro duro. Ci vogliono anni per farlo bene».
Crescentini: «La concentrazione è fondamentale. Ricordo che quando ero ragazzino mi ero lasciato con la fidanzata, ero disperato e sono andato a fare il turno per una commedia… Devi lasciare quello che provi per dare la giusta emozione che, invece, ha espresso l’attore».


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