Sindacato e Ordine dei giornalisti danno una versione opposta in merito alla possibilità di svolgere tirocini nelle aziende in stato di crisi. Luigi Ronsisvalle, vicesegretario della Federazione Nazionale della Stampa attacca: «La regola esiste da 20 anni. Ordine e scuole di giornalismo lo sapevano e dovevano pensarci prima»- Pericolosi stagisti
Fnsi: «Il divieto di stage risale al ’91»
«Se avessimo gestito in maniera corretta l’accesso alla professione non saremmo stati 102mila, non avremmo avuto 60mila disoccupati, probabilmente l’Inpgi non starebbe fallendo e noi non avremmo dovuto mandare a casa la gente». Luigi Ronsisvalle, vicesegretario della Fnsi, sintetizza in poche righe la caotica situazione del giornalismo italiano di questo periodo. La polemica sulla possibilità di svolgere stage nelle aziende in stato di crisi è solo un tassello di un sistema molto più grande, dal cui equilibrio dipende il futuro della professione.
Partiamo dalla questione stages. Da cosa nasce, secondo lei, tutta questa confusione?
«Per noi non c’è alcun tipo di confusione. Noi facciamo riferimento all’allegato D del contratto, che prevede sin dal 1991, quindi da tre contratti fa, che non è possibile svolgere stages nelle redazioni in stato di crisi. Tutti conoscono questa regola: glieditori, le scuole di giornalismo e l’Ordine».
L’Ordine dei giornalisti sostiene che nel contratto nazionale si parla di “borsisti allievi”. In questa categoria non rientrerebbero i praticanti delle scuole di giornalismo.
«È una questione di lana caprina. È un finto problema che è stato posto in maniera faziosa nei confronti del sindacato. Le aziende iscritte alla Fieg in Italia sono 3.380, quelle che hanno uno stato di crisi in corso sono circa un centinaio. Ne restano più di 3mila dove poter svolgere gli stage. Non tutti devono per forza fare lo stage al Corriere o a Repubblica. Si può fare ovunque. Tutti sapevano, comprese le scuole, di star facendo una cosa che non potevano fare, perché tutti gli stati di crisi sono stati chiusi abbondantemente prima di febbraio. Hanno sbagliato a spiegare ai ragazzi di poter affittare una casa a Milano o a Roma».
Posto che l’Ordine ha fatto una deroga a febbraio pur non essendo in potere di farlo, perché la Fnsi ha ribadito il divieto assoluto solo il 28 aprile, a due giorni dall’inizio di molti stage?
«Per il semplice fatto che l’Ordine ha comunicato questa deroga alla Federazione il 7 aprile. Se l’avessero fatto prima, avremmo risposto con il necessario anticipo. E alla base resta il fatto che l’Ordine non può fare una deroga al contratto».
Uno stage di due mesi può davvero rappresentare un pericolo per i colleghi precari o in cassa integrazione, visto anche l’esplicito divieto per le aziende in stato di crisi di assumere nuovo personale?
«Non è un pericolo per i colleghi precari. Solo che in un giornale in stato di crisi nessuno dei colleghi che rimane a svolgere un lavoro che prima facevano in tanti, ha il tempo per dedicarsi alla formazione di un praticante. Questo è un lusso che si possono permettere giornali con l’organico pieno. Lo stagista non può sedersi e guardare semplicemente, ha bisogno di un tutor che gli insegni a fare questo mestiere. Le aziende che fanno lavorare gli stagisti li usano impropriamente e commettono un illecito».
Non è un controsenso chiedere allo stagista di rimanere fuori dal processo di produzione del giornale e allo stesso tempo continuare a definire lo stage un periodo di apprendimento pratico?
«Il collega praticante delle scuole non può entrare nel processo perché altrimenti lavorerebbe gratis e tutti i giornali sarebbero fatti da stagisti. Il collega può correttamente essere inserito in una redazione e guardare come si fa il giornale. La simulazione pratica la dovrebbe fare nelle scuole a cui è richiesto di dotarsi di laboratori e testate. Altrimenti sarebbero praticanti normali, pagati e sotto contratto. Sono due cose diverse e le scuole lo sanno».
«Nella legge che istituisce l’Ordine ci sono delle precise regole che fissano i criteri per diventare giornalista. La legge non è mai cambiata, ci sono stati dei punti di vista dell’Ordine, anche di quelli regionali, che hanno permesso di interpretare in maniera più possibilista le modalità di ingresso. Secondo me la cosa fondamentale è stabilire un unico criterio di selezione per accedere alla professione».
O le scuole o il metodo classico?
«A me l’unica via possibile sembra quella delle scuole e dei corsi universitari, che non può coesistere con l’accesso tradizionale stabilito dalla legge col praticantato classico. E non è possibile che l’Ordine nel frattempo continui a riconoscere praticanti d’ufficio, così che ogni anno accedano alla professione più di 1400 giornalisti, quando il turnover ne può sostenere a stento 200. Negli ultimi vent’anni il numero di giornalisti è aumentato del 20 per cento. Siamo 102mila, ma solo 17mila hanno un contratto a tempo indeterminato. Non ci sono sbocchi. I colleghi che hanno tra 30 e 40 anni guadagnano meno di 30mila euro l’anno e nel frattempo paghiamo più di 5mila pensioni da 50mila euro l’anno a chi già se n’è andato. È insostenibile. Rispettare le regole è interesse comune. Un esempio? Entrare in un sistema dove si lavora gratis o per due euro a pezzo è un danno per tutti. Per chi già c’è e per chi ci sarà, che sarà pagato con uno stipendio da fame e non avrà una pensione».
Scegliere le scuole come unica via non sarebbe una scelta elitaria, visti i costi?
«Se si stabilisse come unica via l’accesso universitario, non sarebbe una scelta elitaria, visto che ancora esiste in Italia un sistema universitario statale».
La Stampa web ha cercato per i mesi estivi di selezionare personale a tempo determinato tra laureati. Cosa ha da dire in merito a questo il sindacato?
«Non gliel’abbiamo fatto fare. Il Cdr si è impegnato a bloccare questa selezione, perché noi sosteniamo che qualunque nuova iniziativa ci sia in un’azienda in stato di crisi, per primi devono essere richiamati i colleghi in cassa integrazione, poi eventualmente, se nessuno è disponibile, si chiamano altre figure professionali.Tuttavia, nel caso in cui ti assumono per fare il tecnico è un’altra cosa. L’azienda puòrichiedere la laurea in scienze della comunicazione anche per poi destinarti al ruolo di tecnico. Se cercano giornalisti non si può fare, ma se cercano tecnici è un’altra cosa».