Giancarlo Cancelleri ha chiesto ai siciliani che vivono fuori dall'Italia di convincere parenti e amici a votarlo alle regionali così da creare le condizioni per potere ritornare. Tra i diretti interessati, però, sembra prevalere la disillusione e la convinzione che i problemi dell'Isola vadano ben oltre una maggioranza di governo
M5s e la promessa di fare tornare i giovani dall’estero Loro: «Restiamo, in Sicilia l’ansia sociale distrugge»
Forse le stelle si rivedranno, ma da lontano, rimanendo nei Paesi stranieri che con il passare dei mesi si sono trasformati in casa. Per chi ha scelto o è stato costretto a lasciare la Sicilia, entrando a fare parte della larga schiera di giovani emigrati, l’appello del Movimento 5 stelle affinché anche da oltre confine si sostenga il partito di Beppe Grillo alle prossime elezioni regionali tramite la ricerca dei voti tra parenti e amici per il momento non sembra essere sufficientemente attraente.
«Vogliamo creare le condizioni per fare tornare chi è dovuto fuggire per cercare un lavoro, cercheremo di costruire una regione migliore per farvi tornare», ha dichiarato il candidato alla presidenza Giancarlo Cancelleri durante un comizio a Favara, nell’ambito del tour A tutta Sicilia. La promessa, però, sembra avere fatto più presa in quei genitori che continuano a nutrire la speranza di riavvicinarsi ai figli o tra quei giovani che, decidendo di rimanere nell’Isola, hanno accettato di vedere restringere la cerchia di legami e affetti e fantasticano sulla possibilità di riabbracciare un giorno i vecchi amici. Perché, chiedendo ai diretti interessati, le risposte che si ricevono sembrano andare in direzione opposta.
Nonostante la sicilitudine non manchi, infatti, l’idea di potere ritornare sull’Isola in seguito a una vittoria del Movimento 5 stelle alle regionali non convince praticamente nessuno dei giovani intervistati da MeridioNews. Conseguenza forse della disillusione nei confronti della politica, ma non solo. I motivi per rimanere lontani dalla Sicilia sembrano essere indipendenti da chi governerà la regione, ma soprattutto paiono andare oltre la questione occupazionale. «Tornare in Sicilia mi piacerebbe, ma non ne faccio solo un problema lavorativo – dice Emanuele, 34 anni, che vive in Francia e lavora in un’azienda di ricerca agricola -. Comunque non credo che le possibilità di un cambiamento significativo, soprattutto per quanto riguarda il mercato del lavoro, possano scaturire solo da una buona gestione a livello regionale. Non vedo malizia nelle parole di Cancelleri, però fossi in lui ci penserei due volte prima di dire certe cose».
E se c’è chi come Paolo – 36enne che da anni lavora in Catalogna – ritiene che il Movimento 5 stelle finora abbia dato dimostrazione di «incapacità di gestire realtà complesse come Roma» e che ciò «non lascia ben sperare nell’efficacia di un eventuale mandato a cinquestelle», sono molti quelli che concentrano le proprie riflessioni sulle motivazioni che li hanno portati a fare le valigie e partire. Questioni che, a loro dire, sono ben più radicate di una maggioranza di governo. «Non aspiro a tornare in Sicilia – spiega Carlotta, 30enne che in Francia fa l’impiegata e che presto lavorerà in campagna -. Qui ho più garanzie e condizioni migliori per quanto riguarda tassazione, sanità, prospettive di pensione. Una vittoria del M5s? Non credo che possa invertire la rotta migratoria. Ma non lo potrebbe fare nessun partito. Penso che sia un problema molto più complesso, dovrebbe cambiare totalmente il modo di agire che c’è in Sicilia».
Ad andare più a fondo è Daniele, 26enne di origine messinese che vive a Londra e non ha problemi ad ammettere che il capitolo siciliano, e più in generale italiano, è chiuso. «Non sono fuggito dalla Sicilia in maniera disperata alla ricerca di un qualsiasi lavoro. Sono andato in Inghilterra – racconta – perché qui c‘è meritocrazia, possibilità di crescita personale e professionale. Gli stipendi sono adeguati e i capi ti ringraziano. Tornare? Vedo il mio futuro e quello dei miei figli qui». E sembra assurdo anche solo pensare di fare campagna elettorale all’estero: «Da quando sono qui ho votato una sola volta. Non voterò piú in nessuna elezione italiana. Non sono interessato alla politica italiana e alle sue promesse», taglia corto.
Federica, 22enne team leader nel campo della ristorazione e anche lei ormai cittadina londinese, ritiene che il cambiamento promesso sia impossibile o quasi da realizzare. «Non tornerei. Puoi anche cambiare alcune leggi, ma non il modo di pensare della gente. In Sicilia – attacca – come in tutta l’Italia, la mentalità è vecchia». Le fa eco e approfondisce ancora di più la riflessione la 27enne messinese Valentina, che nella capitale britannica è riuscita a trovare lavoro come UI designer. «Non torneremmo indietro nemmeno se le condizioni migliorassero realmente – ammette -. Non è solo la mancanza del lavoro che ti spinge a partire, quella è di certo la colonna portante, ma bisogna guardare alle fondamenta della struttura. Mentalità arretrata, senso civico inesistente, libertà di pensiero e parola schiavi della vergogna e della paura del giudizio altrui. Noi – continua -, il lavoro lo avevamo: 500 euro al mese, tante promesse e 350 euro di affitto escluso bollette. Il tutto per undici o dodici ore di lavoro al giorno». Una vita che non era vita o comunque non quella adeguata per una realizzazione. «Il futuro non si costruisce pensando di stringere i denti e baciare a terra. Licenziarci e partire è stata la scelta giusta. L’ansia sociale che si respira in Sicilia ti distrugge».
E allora alla fine non rimane che pensare alla terra come a un’Itaca dove comunque si può pensare di ritornare, ma per altre cose. «Tornare? Magari per il sole, le emozioni, un amore – azzarda Daniela, 35enne che, partita da Gela, ha trovato lavoro in Germania in un colosso dell’informatica -. Il lavoro? Non è quello a mancare in Sicilia, semmai è la retribuzione. E comunque pensare che la gente parta solo per una questione occupazionale è sbagliato. A non esserci – conclude – sono tante cose, a partire dalla rete sociale e dal senso di comunità».