In circa trecento hanno bloccato la statale Catania-Gela vicino all'ingresso della struttura per manifestare contro le nuove regole. Che si mischiano a problemi antichi come il ritardo dei permessi e la diaria convertita solo in sigarette. Ma intanto Salvini ne approfitta e parla di piscine e lidi. Inesistenti nella piana di Catania. Guarda il video
Cara Mineo, protesta per divieto di cucinare a casa «Mangiare pasta e riso alla mensa ci fa stare male»
«Nemmeno in Libia era così… Pensavo che l’Italia fosse diversa, pensavo che fosse la libertà». Ritardi nel rilascio del permesso di soggiorno, pocket money giornaliero restituito solo in sigarette e, adesso, l’annunciato divieto di cucinare cibo diverso da quello servito all’interno del Cara e di vendere dentro la struttura vestiti, beni e medicine che sembrano non bastare mai. Ci sono problemi vecchi e nuovi alla base della protesta di questa mattina fuori dal Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Mineo. Non una rivolta ma un blocco sulla strada statale Catania-Gela, cominciato al mattino e rientrato intorno alle 13.
Già diversi chilometri prima della protesta, polizia e carabinieri impediscono a qualunque mezzo – giornalisti compresi – il passaggio sulla statale. Nel frattempo, a pochi passi dall’ingresso del Residence degli aranci che ospita i rifugiati, qualche centinaio di persone si accalcano davanti alle camionette della polizia sotto 40 gradi. Il clima è teso, ma per tutta la mattina si sollevano solo urla e slogan. Al di là del cordone di agenti, anche il nuovo direttore del Cara di Mineo: Giuseppe Di Natale, ex commissario insieme a Giuseppe Caruso. Proprio a Di Natale sono diretti la maggior parte dei cori e dei cartelli: «No queremos el nuevo director». “Non vogliamo il nuovo direttore” ha scritto un migrante su un pezzo di cartone. Non parla spagnolo, ma probabilmente crede che così il suo messaggio sia più comprensibile per gli italiani.
«Sono qui da tre anni e non ho ancora il permesso di soggiorno – racconta Jacob, 26 anni, nigeriano – Come se non bastasse, continuano a darci i pacchi di sigarette al posto dei soldi, ma io non fumo». «E perché, mio figlio di tre anni secondo voi fuma?», gli fa eco un uomo egiziano, arrivato attraverso la Libia, dove lavorava come pasticcere. «Per questo siamo costretti a rivenderle, guadagnando di meno, per poi comprare quello che ci serve – continua Jacob – Per esempio, vi sembra normale che curino tutto con il paracetamolo? Ti fa male la testa? Paracetamolo. Hai dolore al braccio? Paracetamolo. Problemi alla gamba? Paracetamolo».
Fin qui, nessuna novità. I ritardi nel rilascio dei documenti e l’assenza di contanti in cui convertire la diaria fornita dal ministero sono problemi antichi all’interno del Cara, anche sotto la gestione dell’ex direttore Angelo Maccarrone. Eppure oggi i migranti gridano: «Nuovo direttore no buono». Perché sarebbe toccato proprio a Di Natale portare al Cara la notizia di due nuove regole decise in una recente riunione del Comitato per l’ordine e la sicurezza convocato dalla prefettura di Catania. La stretta riguarda il divieto di cucinare negli alloggi e quello di vendere merci all’interno della struttura.
La compra-vendita all’interno del Cara è anch’esso un problema antico. Accanto a palesi commerci illegali – alcool, droga e prostituzione – convivono infatti da sempre dei negozi improvvisati di beni di prima necessità impossibili da reperire altrimenti. Medicine, come raccontato da Jacob, ma non solo. «Ho addosso la stessa maglietta da un anno», racconta Abdhul, arrivato dal Benin nel 2015. Un altro ragazzo, superato l’imbarazzo, alza il braccio e mostra i vistosi buchi della sua maglietta. Ma a provocare il malcontento di questa mattina è principalmente il cibo. Dalla calca si fa spazio una ragazza con in mano un pasto sigillato, distribuito alla mensa del Cara. È pasta al pomodoro, «ma è tutta acqua» sintetizza, senza giri di parole, la giovane. «Io sono africano e vorrei cucinare il nostro cibo – spiega un migrante accanto a lei – Qui invece ci danno pasta e riso a pranzo e a cena. Noi africani non siamo abituati, ci gonfia lo stomaco e stiamo male». «Io ho la fidanzata a Catania e so com’è fatto il riso – gli ruba la parola un connazionale – Questo non è riso, è una pietra».
Il loro inglese spesso è stentato. In pochi conoscono qualche parola di italiano. Molti si arrabbiano perché non vengono capiti in francese. Tutti hanno il timore di parlare con dei «giornalisti del Cara» e preferirebbero avere a che fare con cronisti stranieri. «Di dove siete?», «Di Catania», «Allora siete mafiosi anche voi». Più che razzismo di ritorno, sembra diffidenza. Alimentata anche da dichiarazioni come quella di oggi di Matteo Salvini. Il leader della Lega Nord pubblica stamattina su Facebook le foto del blocco stradale e scrive: «Per che cosa protesteranno i signorini? Spero che non sia, come dice qualche residente, perché c’è troppo caldo e vogliono pass gratis per entrare nelle piscine e nei lidi della zona». Zona che, per un raggio di almeno 60 chilometri, non ha mai visto il mare. Ma la questione è presto risolta: in realtà il residente citato da Salvini è il consigliere comunale di Grammichele Rocco Zapparrata che, sul proprio profilo, aveva ironizzato parlando di piscina. «Ma io scherzavo – spiega – Stamattina presto non si conoscevano ancora i motivi della protesta e ho fatto una battuta». Ironia che non è stata colta dal politico nazionale che, in barba alla geografia, ha dato il via ad articoli e commenti razzisti.