Caso Mered, in aula sfilano i periti Difesa vuole Lidya Tesfu fra i testi

«Avete tradotto i messaggi integralmente?» «No, non mi compete». È la risposta dell’ingegnere Mauro Manolo Belmonte, perito tecnico nominato dalla Procura, alla domanda dell’avvocato Michele Calantropo, legale dell’uomo detenuto quasi da un anno al Pagliarelli con l’accusa di essere il boss della tratta di esseri umani Medhanie Yehdego Mered, ma che dall’inizio ha sempre gridato allo scambio di persona dichiarando di essere Medhanie Tesfamariam Berhe. L’ingegnere Belmonte ha analizzato il contenuto del cellulare trovato addosso all’imputato il giorno dell’arresto a Khartoum, il 24 maggio 2016. Sono bastate solo un paio d’ore per produrre una copia forense dei dati, della sim e della micro sd. E per farlo non è servito neppure accendere l’apparecchio, un vecchio Samsung.

Delle migliaia di messaggi su Viber, Whatsapp, Messenger e Facebook sono stati analizzati, con l’aiuto di interpreti di lingua tigrina, solo quelli in cui erano contenute alcune parole chiave riconducibili all’indagine Glauco II. Persino lo scambio di messaggi con Lidya Tesfu, ritenuta dagli investigatori la moglie di Mered e dal cui profilo Facebook è partita a tutti gli effetti la ricerca del boss, è stato analizzato superficialmente, malgrado lo scambio di battute sia stato breve. «Io non voglio nessuno se non mio marito», questa l’unica frase che Belmonte riferisce sul banco dei testimoni. 

E proprio Lidya Tesfu potrebbe essere la testimone chiave per venire a capo della vicenda. L’avvocato Calantropo, infatti, ha chiesto che la donna venga inserita nella lista dei testimoni convocati dalla difesa. Il giudice Bruno Fasciana si pronuncerà sulla richiesta nel corso delle prossime udienze di giugno. La donna, da sempre perno della storia, non era stata inserita prima nell’elenco a causa della mancanza di alcuni dati fondamentali per la sua identificazione, cioè la data di nascita e l’attuale indirizzo di residenza. Una testimonianza divenuta più urgente soprattutto in seguito a quanto rivelato dalla donna a MeridioNews in una recente intervista, in cui smentisce che l’uomo in carcere sia il marito e boss della tratta Mered.

Nessun elemento di novità è emerso, invece, dalla testimonianza dei due interpreti prima e del sovrintendente della polizia di Stato Dario Midulla dopo. «C’erano alcune telefonate semplici, altre invece con problemi di linea, e il tono dipendeva dalla conversazione e dalla situazione», spiega la consulente della Procura Abraha Yodit, che aggiunge: «Nel 2016 mi sono state sottoposte altre tre telefonate e mi è stato chiesto se riconoscevo la voce con quella ascoltata nel 2014 e secondo me c’era similarità, potevano essere la stessa voce». Ma alla domanda dell’avvocato Calantropo su come siano state riconosciute e comparate le voci, la risposta è ancora una volta la stessa: «A orecchio». «Le telefonate – continua Yodit – erano infinite e le persone tante, ma dopo un anno a sentire la stessa voce ho riconosciuto la familiarità con quella ascoltata nel 2016». Ma da quale numero ha ascoltato queste voci? «Non lo so, non memorizzo i numeri»

Stessa musica con l’interprete Melles Fres Semerè, in Italia dall’86, ma che della nostra lingua mastica molto poco. «Non ricordo le utenze telefoniche e i numeri di telefono, ma c’era un riscontro», dice, «Compatibilità quindi rispetto a cosa?», chiede Calantropo. «Familiare per me significa compatibile, la stessa voce insomma» insiste però l’interprete. Neanche la testimonianza del funzionario della polizia si basa su particolari competenze tecniche: «Ho dato una mano nelle trascrizioni delle telefonate, dopo l’estradizione del soggetto abbiamo ripreso le fila per quanto concerne i profili Facebook – dice – Non ho competenze, sono autodidatta ma abbastanza avvezzo per quanto riguarda certe situazioni sui social». Ma alle domande più tecniche di Calantoropo, Midulla demanda tutto alle analisi condotte dall’ingegnere Belmonte. «Io mi sono occupato solo del profilo investigativo, non degli aspetti tecnici».


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