Indagine Ong, cosa muove il procuratore Zuccaro? La politica come antidoto ai problemi della giustizia

«Responsabile», «istituzionale», «senza relazioni con ambienti politici». Chi ha conosciuto Carmelo Zuccaro tra i corridoi dei tribunali siciliani fornisce un profilo univoco del procuratore di Catania. Tutti d’accordo sulle capacità del magistrato che negli ultimi giorni è finito al centro di un clamore mediatico a seguito delle sue dichiarazioni sui rapporti tra Ong e trafficanti di essere umani. Parole apparentemente inspiegabili: accuse vaghe verso soggetti imprecisati e prove che – per sua stessa ammissione – non reggerebbero un giudizio; decisamente strane per un magistrato conosciuto per rigore e fedeltà alle norme. Senza considerare il numero di interviste concesse in questi giorni, anch’esse inspiegabili per un uomo finora riservato. E allora perché il numero uno della procura etnea ha deciso di esporsi mediaticamente e di affidare a giornali e tv le conoscenze finora raccolte in un’indagine che è solo agli inizi? Rischiando un inquinamento delle prove e le legittime domande dei colleghi del Csm. E, soprattutto, perché non rimanda al mittente, con la fermezza dimostrata in altre occasioni, le strumentalizzazioni politiche – anche e in particolare del Movimento 5 stelle – in aperta campagna elettorale?

Per tutti, Zuccaro non è uno sprovveduto. E, come ammesso dallo stesso procuratore, la scelta mediatica nascerebbe dalla consapevolezza che, in questo caso, gli strumenti in mano alla magistratura e i tempi stessi della giustizia siano insufficienti per affrontare il nodo immigrazione. Un tema che riguarda da vicino la procura di Catania, ormai da anni ingolfata da centinaia di procedimenti e inchieste su naufragi e presunti scafisti. Senza considerare le bucce di banana sul tema terrorismo. Proprio sugli scafisti – casi che hanno impegnato ingenti risorse economiche e forze di polizia, ma spesso rimasti senza esito – si è cercato soltanto di recente di limitare il danno con la decisione di non configurare per chi guida le imbarcazioni il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e, quindi, di non arrestarli più né processarli. Una pezza che copre solo parzialmente il buco, che rimane un lavoro da mandare avanti con un mini-pool di magistrati che si contano sulle dita delle mani. 

Ed ecco quindi la sollecitazione alla politica. Zuccaro sarebbe convinto che il tema sia la rilevanza pubblica della questione. E a fronte dei suoi mezzi limitati, avrebbe fatto «una scelta responsabile in linea con la sua personalità». Ossia attirarsi critiche e strali – ma anche incassare supporto di cui l’hashtag #rispettoperzuccaro è solo la versione più virale – pur di risolvere un problema. Che per il procuratore capo di Catania, a quanto pare, passa anche dalla gestione dei flussi migratori. In questa ottica, Zuccaro potrebbe essere consapevole che la cassa di risonanza per sollevare il caso non è certo da cercare nella maggioranza di governo. Di cui, peraltro, fa parte anche quell’ex Nuovo centrodestra finito, attraverso i suoi massimi esponenti siciliani, nelle indagini della Procura di Catania sul Cara di Mineo e sul sistema delle cooperative che gestiscono l’accoglienza nella provincia etnea. Ma piuttosto nelle opposizioni, a cominciare dal Movimento 5 stelle

Chi lo conosce nega ogni sua vicinanza ad ambienti politici. E anche chi potrebbe avere qualche dubbio fa fatica a collegarlo a quella corrente in magistratura che potrebbe strizzare l’occhio ai pentastellati. I quali, dal canto loro, cavalcano le dichiarazioni del magistrato così come, appena qualche settimana prima, quelle del collega della procura di Messina Sebastiano Ardita sui reati in Italia commessi da cittadini romeni. Una partita politica comprensibile, nella quale a prima vista stonerebbe la mancata presa di distanza dello stesso Zuccaro. Nota che meglio si accorda con l’amo gettato a un interlocutore politico capace di coglierlo.


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