Nipote della mamma del latitante, l'imprenditore di Castelvetrano si è visto confiscare aziende, ville e terreni. Secondo il pentito Cimarosa «ha sempre tenuto i contatti con Cosa nostra trapanese per conto di Matteo Messina Denaro e aveva rapporti con tutti i capimafia della provincia». Dal carcere dava indicazioni alla moglie
Filardo, il cugino prediletto di Messina Denaro «Ma quale cassaforte, i soldi mettili sottoterra»
«Gli unici amici che hai siamo io e lo Biondo». Con queste parole, Matteo Messina Denaro esortava l’imprenditore Giovanni Risalvato, detto u pruvulazzo, a fidarsi di Giovanni Filardo, il cugino prediletto della primula rossa castelvetranese, colui che, secondo le rivelazioni del pentito Lorenzo Cimarosa «ha sempre tenuto i contatti con Cosa nostra trapanese per conto di Matteo Messina Denaro e aveva rapporti con tutti i capimafia della provincia con cui regolava e concordava e metteva a posto lavori e appalti».
L’imprenditore – figlio della sorella di Lorenza Santangelo, mamma del latitante – era stato arrestato nel 2010, nell’ambito dell’operazione Golem II con l’accusa di far parte del mandamento di Castelvetrano. Assolto dal tribunale di Marsala nel processo di primo grado, la sentenza venne poi ribaltata dai giudici della corte d’appello di Palermo che lo condannarono a 12 anni e 6 mesi di reclusione. Nel dicembre 2013, un nuovo arresto. Filardo era stato raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per il reato di trasferimento fraudolento di beni, aggravato dall’avere agevolato Cosa nostra. Ieri, il tribunale delle misure di prevenzione di Trapani ha fatto scattare la confisca dei beni che gli erano stati sequestrati quattro anni fa, ovvero il complesso aziendale della BF Costruzioni srl, numerosi automezzi, terreni, e una villa a Triscina, frazione di Campobello di Mazara.
Le indagini di natura economico finanziaria avrebbero dimostrato la «manifesta sproporzione tra il valore dei beni e la capacità reddituale dell’imprenditore, tale da non consentire la possibilità di acquisire le risorse finanziarie, idonee ad avviare autonomamente nuove attività commerciali, dai redditi legittimamente dichiarati dall’interessato. Tali disponibilità, pertanto, sono da considerarsi frutto delle attività illecite o il reimpiego dei relativi proventi».
Incongruenze che erano state anche rilevate dall’amministratore giudiziario Maurizio Lipani che spulciando le carte si è accorto di una serie di transizioni fuori dal libro paga. Proprio temendo l’aggressione al suo patrimonio, Filardo, subito dopo l’arresto, aveva tentato di intestare fittiziamente ai propri familiari beni e denaro e dal carcere dava istruzioni alla moglie su come far sparire i soldi. «Ma quale cassaforte – affermava nel corso di un colloquio – mettili sottoterra».