Sono i risultati del sondaggio commissionato dalla commissione regionale Antimafia sulla percezione del fenomeno mafioso tra i giovani. Poca stima nei pentiti, secondo la maggioranza spinti da motivi personali. Riconoscono invece nelle confische il modo più efficace di combattere Cosa Nostra
Mafia, per gli universitari è più grave del terrorismo Fiducia in istituzioni: primi magistrati, politici ultimi
Considerano la presenza della mafia pericolosa; pensano che le ragioni più forti per cui ci si avvicini ad ambienti criminali provengano dalla famiglia d’origine e dell’ambiente circostante; sono convinti che il fenomeno della collaborazione con la giustizia sia più legato a interessi personali che a una reale conversione da parte dei pentiti. Sono gli studenti universitari del dipartimento di Giurisprudenza dell’ateneo di Palermo, a cui è stato somministrato un questionario, i cui risultati costituiscono la seconda parte dell’indagine commissionata dalla commissione regionale Antimafia sulla percezione del fenomeno mafioso nei giovani siciliani. A rispondere alle domande, predisposte e analizzate a titolo gratuito dai dipartimenti di Giurisprudenza e di Scienze economiche e Statistiche aziendali, quasi 800 studenti, per tre quarti provenienti dal capoluogo, ma anche dalle province di Trapani e Agrigento.
«Si tratta di indagini – ha commentato il dimissionario presidente dell’Antimafia, Nello Musumeci – che non servono soltanto a conoscere la realtà, ma a individuare i possibili rimedi da adottare». La percezione del fenomeno mafioso da parte degli studenti universitari appare abbastanza aderente alla realtà, a cominciare dal dato secondo cui quasi l’80 per cento degli intervistati ritiene che il fenomeno mafioso non sia circoscritto ai confini dell’Isola, ma sia invece diffuso in tutta la comunità europea.
Tra le problematiche più gravi e preoccupanti, secondo le risposte degli studenti, al primo posto si trova la disoccupazione, seguita dal fenomeno mafioso. Soltanto a seguire trovano spazio il terrorismo internazionale o la crisi economica. Ancora, secondo gli studenti lo strumento di maggiore efficacia nella lotta alla criminalità organizzata resta l’aggressione ai patrimoni finanziari, ritengono che le attività criminali più pericolose riguardino il traffico e lo spaccio di droga, il racket delle estorsioni, la turbativa d’asta, mentre considerano meno dannosi i crimini ambientali, legati al traffico di rifiuti.
Il 71 per cento dei giovani ritiene inoltre che lo Stato non faccia abbastanza per sconfiggere la mafia, mentre alla domanda sulle istituzioni nelle quali ripongono maggiore fiducia, restano ai primi posti la magistratura, la famiglia e le forze dell’ordine. Ultimi invece in termini di fiducia i partiti e gli uomini politici. Un dato «non nuovo» secondo Musumeci, che sottolinea però il paradosso secondo cui «gli studenti mettono la magistratura al primo posto e la politica all’ultimo, ma non collegano che i magistrati applicano leggi fatte dalla politica. Più volte, come commissione, abbiamo fatto un appello alla classe politica siciliana, perché imparasse, prima ancora di obbedire alle leggi del codice penale, ad applicare le regole del codice etico, perché non tutti i comportamenti di un uomo politico configurano reati penali, ma certamente pongono interrogativi sul piano etico».
Di diverso avviso il vicepresidente della commissione, Toto Cordaro, secondo cui le basse percentuali attribuite all’azione della politica sarebbero da leggere come il frutto di una generale sfiducia nella politica e nei partiti. Si dice preoccupato, invece, il deputato Pietro Alongi, che ricorda che come commissione Antimafia «avevamo approvato un codice etico in cui si disegnavano le regole da rispettare per dare credibilità alla politica. Forse – ammette – dovremmo fare un nostro mea culpa e ricostruire quelle regole interne che in parte ci sono sfuggite».
«La lotta alla mafia – ha concluso Musumeci – deve creare consenso sociale, altrimenti resta soltanto un’operazione di polizia. Quando un Comune viene sciolto per mafia due o tre volte, chi perde è lo Stato, non la mafia. Quando un’azienda confiscata fallisce, lasciando le famiglie senza lavoro, ha vinto la mafia, non lo Stato. Quando una vittima del racket deve attendere anni per ottenere i benefici dovuti, mentre il suo estorsore magari torna in libertà, ha vinto la mafia non lo Stato».