«C'erano persone in uscita o in permesso dal carcere che poi andavano a battezzare i parenti». Così l'arcivescovo della diocesi spiega l'incompatibilità, «messa nero su bianco», tra l'affiliazione a Cosa nostra e la partecipazione alla vita ecclesiale. Ma la scelta del prelato fa discutere la comunità dei fedeli
Monreale, no a padrini mafiosi in battesimi e cresime Cittadini divisi: «Era ora»«Pure loro sono figli di Dio»
«Bisognava fare chiarezza in diocesi coi parroci». Monsignor Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale, giustifica in questo modo il decreto col quale sancisce che «non possono essere ammessi all’incarico di padrino di battesimo e di cresima coloro che si sono resi colpevoli di reati disonorevoli o che con il loro comportamento provocano scandalo; coloro che appartengono ad associazioni di stampo mafioso o ad associazioni più o meno segrete contrarie ai valori evangelici ed hanno avuto sentenza di condanna per delitti non colposi passata in giudicato». La decisione del prelato giunge dopo la consultazione del Consiglio Presbiterale Diocesano e a poca distanza dal caso del figlio di Totò Riina, Giuseppe Salvatore detto Salvo, tornato a Corleone il 2 febbraio scorso per fare da padrino al battesimo di una nipotina. Ciò era avvenuto grazie al permesso del tribunale e del lasciapassare di un parroco di Padova. A quella notizia monsignor Pennisi era andato su tutte le furie, bollando la scelta come «censurabile e inopportuna».
«Certamente quella vicenda ha influito sulla decisione di emanare il decreto – conferma l’arcivescovo – ma non è la sola. Ci sono stati casi di persone in uscita o in permesso dal carcere che poi andavano a fare i padrini. Il divieto serve a fare chiarezza, indicando al parroco cosa fare. Da tempo l’orientamento del clero è quello dell’incompatibilità tra l’affiliazione a Cosa nostra e la partecipazione alla vita ecclesiale, ma ciò si deve tradurre in una disposizione normativa precisa». Come sottolineato dal decreto, che si rivolge a 25 Comuni della città metropolitana di Palermo ed è stato firmato il 15 marzo, già il «codice di diritto canonico prevede che per essere ammesso all’incarico di padrino vi sia una condotta di vita conforme alla fede e all’incarico che si assume. Tutti coloro che, in qualsiasi modo deliberatamente, fanno parte della mafia o ad essa aderiscono o pongono atti di connivenza con essa, debbono sapere di essere e di vivere in insanabile opposizione al Vangelo di Gesù Cristo e, per conseguenza, alla sua Chiesa». Insomma, il divieto già c’era ma «non era messo nero su bianco», conclude Pennisi.
La scelta di negare a esponenti mafiosi la possibilità di battezzare o cresimare i propri cari fa discutere e divide i fedeli della comunità. A partire proprio da Corleone. «Io non sono d’accordo, siamo tutti figli di Dio» dice un ottico del centro. «Così sembra sempre che siamo tutti mafiosi» è la chiosa che viene da un negozio di articoli sportivi. «Finalmente – è invece il commento di un panettiere -. È assurdo che i divorziati non possono fare la comunione e il figlio di Riina il battesimo sì. Deve cambiare l’atteggiamento, ci vuole uno schieramento netto e deciso, invece siamo lì a spaccare il capello in quattro». E mentre c’è chi pensa ai bambini – «Loro che colpa ne hanno?» si chiede ad esempio un esercente di Monreale -, c’è chi preferisce non commentare e chi afferma che «sono cose tra preti, non mi riguarda».
Intanto il prossimo 26 marzo, in occasione della giornata nazionale della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime della mafia, monsignor Michele Pennisi sarà ospite presso il centro multimediale in piazza Danimarca a Corleone di un incontro dal titolo inequivocabile: La mafia si nasconde negli ambienti religiosi?.