Pozzallo, Comune usava per sé soldi per i migranti Dai lavori nella palestra agli straordinari da pagare

I soldi per i migranti usati per sistemare la palestra, riparare i mezzi del Comune e pagare gli straordinari del personale. È quanto sarebbe accaduto a Pozzallo, dove sei dipendenti comunali – tra cui anche alcuni dirigenti – avrebbero distratto i fondi per l’accoglienza, facendoli confluire nei vari capitoli del bilancio dell’ente e utilizzandoli per finalità che nulla avevano a che vedere con la gestione dei flussi migratori. Al centro dell’attenzione c’è l’hotspot, il centro di identificazione già oggetto di numerose polemiche per il sovraffollamento e le condizioni igienico-sanitarie. 

Alla luce dell’inchiesta coordinata dalla Procura di Ragusa e condotta dalla guardia di finanza tra 2013 e 2014, lo scenario che viene fuori è ancora più serio. Il centro di accoglienza, che prima di diventare hotspot era stato già Cpsa, avrebbe patito non solo la cattiva organizzazione, ma anche l’azione illecita di chi invece avrebbe dovuto gestirlo. Gli indagati – per i quali l’accusa ha già chiesto il rinvio a giudizio – avevano tutti compiti all’interno del centro: a essere coinvolti, infatti, sono stati il direttore, il magazziniere, il contabile, il responsabile servizio amministrativo e dei coordinatori. I reati ipotizzati sono di concorso in truffa e frode nelle pubbliche forniture. 

Per gli inquirenti, gli atti illeciti sarebbero stati molteplici. A partire dalla richiesta di rimborsi per forniture mai distribuite ai migranti. Le domande venivano inoltrate alla prefettura che, in quanto rappresentante del ministero dell’Interno sul territorio, era deputata a gestire la distribuzione delle risorse economiche. Un esempio è rappresentato dalle spese per la carta igienica: a fronte di un rimborso per 50mila rotoli, la guardia di finanza ha scoperto che ne erano stati realmente comprati soltanto 700.

Gli indagati, però, si sarebbero spinti anche oltre. La riduzione dell’assistenza ai migranti avveniva già subito dopo lo sbarco: secondo le testimonianze raccolte tra il personale presente al porto, la direzione dell’hotspot ordinava di distribuire un numero inferiore di prodotti rispetto a quelli che sarebbero stati necessari. Per farlo sarebbe stata utilizzata anche l’espressione «stile siriano», che fa riferimento al minor tempo trascorso dai migranti siriani nei centri di accoglienza – in quanto beneficiari degli accordi tra gli stati Ue per la redistribuzione dei migranti – e di conseguenza alla minore necessità di beni di prima accoglienza.

Nel tentativo di nascondere l’illecito sarebbero stati distrutti i registri contabili, ma le Fiamme gialle sono riuscite a ricalcolare l’entità del magazzino. In tal senso, è stato scoperto che ai migranti veniva dato un solo paio di scarpe anziché due. Il secondo non veniva acquistato, ma conteggiato al momento di chiederne il rimborso. Per concludere, un aneddoto che spiega come lo sfruttamento delle risorse per l’accoglienza sarebbe avvenuto anche all’esterno della pubblica amministrazione. Il fatto è quello da cui è partita l’intera indagine: durante un normale servizio di controllo del territorio, la guardia di finanza si è imbattuta in un furgone che, sostando nell’area antistante l’ingresso dell’hotspot, stava caricando una grande quantità di materassini. Materiale che sarebbe dovuto servire ai migranti giunti in Italia, dopo la lunga traversata del Mediterraneo, e che invece è finito in un parco di Scicli. Per fare da protezione a una pista di motocross.


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