L’ Islam “umano”

Un incontro davvero inusuale quello col romanziere Salim Bachi nella conferenza del  17 Marzo tenutasi  presso l’Alliance Française di Ragusa. 

Algerino di nascita, Bachi si trasferisce a Parigi per studiare letteratura e lingua francese alla Sorbonna e, scrivendo su “Le Monde Diplomatique”, raggiunge rapidamente il successo. Poi “Le Chien d’Ulisse” un romanzo che si muove tra utopia e storia e che non cela la tragicità della vita in Algeria negli anni ’90 in seguito all’assassino del presidente Boudiaf. Da allora non ha mai dimenticato la sua terra, riportandone, attraverso le pagine, bellezza e tradizione e tessendo con esse la trama delle perpetue sofferenze. E nemmeno dalla Francia ha mai dimenticato. Un secondo romanzo, “Khahéna”, e tornano gli stessi riferimenti. Ambientazione coloniale e avventurosi viaggi tradiscono nuovamente il ricordo di Algeri. Poi un pungente scritto sul fondamentalismo islamico e le vicende del 11/9 riportate come un tragico assassinio, via d’uscita dal dilemma del mondo arabo contemporaneo insidiato da un rapporto perpetuamente dualista con l’occidente.

E adesso  ritorna con un nuovo romanzo. Pur cambiando le tematiche, le intenzioni sono sempre le stesse. Ma stavolta il lavoro è più audace. Leggendo un libro ambientato in un’epoca lontana, il lettore si aspetta di incontrare personaggi, situazioni, culture, epoche così diverse e lontane dalla contemporaneità, ma Bachi ama pensare che le incognite di ogni libro possano ugualmente  provenire da un pianerottolo così come dalla storia dell’Egira.  È il modo che l’autore ha di trattare quelle incognite che rivela la qualità del romanzo , la capacità di trasportare chi legge su un tappeto volante, e Salim Bachi è un autore audace che con “ le Silence de Mahomet” riesce coraggiosamente a realizzare un romanzo sulla vicenda del profeta dell’Islam.

“Le Silence de Mahomet” è un romanzo che trasporta il lettore nel periodo preislamico analizzando puntigliosamente, senza mai abbandonare la sapiente scrittura, il contesto culturale che portò alla nascita di questa religione, apportando una pluralità di sguardi su Mohammed e mostrando differenti episodi della sua vita quotidiana in tutta la loro umanità, Salim Bachi sceglie per tutto questo una forma polifonica, lasciando  parlare in ordine successivo Khadija, la prima sposa del profeta, Abou Bakr amico di Mohammed e primo califfo dell’Islam, Khalid, militare focoso che insidierà la guerra tra i musulmani invece di condurli alle grandi vittorie contro i bizantini, e  Aicha la leale  e giovane compagna.

La forza di Bachi è quella di esplorare contemporaneamente più dimensioni rivelando il carattere “umano” del leader e dei suoi compagni, sottolineandone forze , debolezze, problematiche e punti di vista in modo da creare interazioni tra gli attori della vicenda. L’attenzione è sempre volta al comune fascino che su di loro esercita la figura tutta umana e spirituale di Mohammed. Così prende vita ciò che era stato dimenticato, che si regge sulla storia e su innumerevoli fonti che l’autore cita scrupolosamente.  La memoria è una costante nelle opere di Bachi : “la storia è base per gli orientamenti futuri e la memoria può divenire malattia, flagello ma odiare la memoria sarebbe precipitare nella barbarie. Non bisogna abbandonare la memoria ma correre il rischio che essa si trasformi in vita”  afferma lo scrittore  in ottimo francese. Mohammed  si evolve nella vicenda in relazione ai discorsi dei personaggi,. Un personaggio poliedrico: dall’orfano al giovane e brillante carovaniere, dal mistico allo stratega politico e militare , da unico amante a uomo diviso tra due amori. Rara  occasione per immergersi nella cultura dei beduini, nelle rivalità tra i clan e nei loro riti, nell’influenza di nazareni e giudei. Ma il testo con sapiente abilità permette di approfondire aspetti e sfumature dottrinali delle tre religioni.

Dall’intervista allo scrittore:

Nel suo libro Maometto è presentato come “ un homme passionné prima di essere il profeta dell’ Islam”. Non teme che questa prospettiva inusuale possa essere vista come una dissacrazione?

Questo romanzo ha sicuramente della dissacrazione. D’altronde in un romanzo non potrà mai esservi un’unica verità altrimenti  sarebbe propaganda. Questo non è un romanzo ma è un’iniziativa volta al cambiamento, un testo portavoce della critica di chi lo scrive che si rivela attraverso quattro voci che non rappresentano verità assolute. Dunque questa critica è del tutto opinabile e si mantiene mescolata al racconto.

L’utilizzo della molteplicità dei punti di vista ricorda quello di autori famosissimi tra i quali potremmo citare il Premio Nobel Nagib Mahfouz. Quanto si sente legato a queste radici letterarie?

Non ho letto molto su Mahfouz, solo qualche romanzo, non si tratta di un autore che ha contato molto per me. Personalmente preferisco autori magrebini come Khaleb Yasin, Idris Charbi o la letteratura americana. Nonostante la differenza epocale e la diversità di pensiero, ho sempre cercato di trovare tra queste influenze una comune prospettiva.

Quale è stato il suo rapporto con l’Europa e particolarmente con la Francia?

Ho un bellissimo rapporto con la Francia che ormai per me è una seconda casa. Ma apprezzo tantissimo anche l’Italia.

Nei suoi romanzi lei ha sempre tessuto strettissimi rapporti tra la penna dell’ autore, l’immaginario e la realtà tragica dell’ Algeria. Che ruolo ha dunque la memoria della terra natale nella scrittura?

Sicuramente “Le Chien d’Ulisse” e la “Khahena” sono due romanzi sulla memoria e sul distacco. Qui però vi è una duplice prospettiva: se non si ricorda subentra l’oblio e se non si ritrova il ricordo non si avanza. Ho affrontato più tipologie di memoria: quella di sé, del paese natale, del terrore, una memoria sia fisica che sacrale, una sacralizzazione di ciò che non deve andar perduto.


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