‘Caro Mauro, ti presentiamo i catanesi’

Caro Ezio Mauro,

sono passate quasi due settimane da quando un gruppo di lettori catanesi de La Repubblica ti ha inviato una lettera firmata per chiederti di discutere di pluralismo dell’informazione a Catania. In essa ti chiedevamo anche se il tuo editore stava considerando la possibilità di distribuire l’edizione locale del quotidiano anche nella provincia di Catania. Allora avevamo raccolto circa seicento firme e la pagina Facebook che avevamo aperto contava 1200 iscritti. Oggi siamo quasi 1100 ad avere sottoscritto la lettera a te indirizzata e quasi 3000 ad avere aderito al gruppo su Facebook.

Non abbiamo ricevuto ad oggi ancora una risposta. E’ pur vero che non ci siamo presentati. Ma, ne converrai, è difficile presentare le identità di una popolazione che chiede, simbolicamente, riscatto, che si sente offesa, che cerca di immaginare come sarebbe la propria città se fosse migliore. Questa porzione della nostra città, che cresce di giorno in giorno, ha ritenuto di ricominciare dal pluralismo dell’informazione, dall’erodere la condizione di monopolio in cui versa. 

Pur non avendo questi strumenti, proviamo a dirti quello che abbiamo visto, solo compiendo il freddo gesto di inserire i nomi di questi cittadini e cittadine nel database di firme della lettera a te indirizzata. Abbiamo visto una popolazione molto varia e molto desiderosa di essere presa in considerazione.

Su un campione di 1050 nomi, circa 840 hanno voluto indicarci la loro occupazione. La maggioranza è composta da studenti. Questi studenti ci tengono a raccontarci/ti a che punto stanno della loro carriera, se lavorano mentre studiano, cosa studiano, se hanno appena conseguito il titolo ed ancora cercano lavoro.

E sono molti anche i dottorandi e i “lavoratori” dell’accademia (siano essi docenti a contratto, assegnisti di ricerca, ricercatori universitari, professori associati ed ordinari). Molti lavoratori universitari ci tengono a sottolineare la loro condizione di precarietà. La vogliono proprio dire: si firmano “ricercatore precario” ed ancora “assistente”, e sappiamo bene che questa professione non necessariamente garantisce uno stipendio, né tanto meno, uno stipendio decente. Ma gli universitari non sono i soli a evidenziare la loro condizione di precarietà. In molti ci dicono che sono disoccupati, che di professione fanno i precari, che sono in mobilità, che hanno un co.co.co, come se fosse, di per sé, un lavoro. Alcuni ci dicono se hanno figli. Altri dove sono finiti, da catanesi, ad esercitare la loro professione. Già, precari e disoccupati. Ed, in evidenza, hanno voluto sottolinearlo, come un grido in faccia a chi legge. Molti ci dicono dove sono finiti a lavorare: chi a Milano, chi a Torino. E lo dicono guardando indietro, verso la Sicilia e verso Catania, con rabbia e con un amore difficile da nascondere.

Molti sono gli insegnanti, ma anche i liberi professionisti, in senso lato. Alcuni sono architetti, ma anche ingegneri, avvocati, giornalisti, commercialisti, medici, psicologi. Ci sono imprenditori, infermieri, tantissimi impiegati. La categoria degli “artisti” racchiude un’anima importante della nostra città: ci sono i musicisti, tanti, quelli che riempiono di vita la nostra città, ma anche pittori, registi, fotografi, scrittori… Nella categoria “altro” è annoverata una popolazione diversificata e ricca, dagli artigiani ai fisici nucleari, dai biologi ai traduttori, da coloro che si firmano come “cittadini catanesi” ai periti di qualsivoglia natura, dai geometri ai piccoli editori.

Vogliamo dirti che non un secondo abbiamo considerato questi nomi come dati da inserire in un database, anche se spesso ci è capitato di computare dati, per la professione che svolgiamo. Da catanesi emigrati ci è sembrato quasi di conoscerli tutti. Ed è per questo che abbiamo voluto presentarteli. Perché siamo certi che anche tu non resterai indifferente alla loro richiesta.

Sappiamo bene che la questione sulla quale ti chiediamo di pronunciarti non è di tua diretta pertinenza. E molti di noi sanno anche che l’argomento è estremamente controverso e delicato, che si sta attendendo la pronuncia dell’antitrust sul caso Catania (potrai leggere alcuni interventi se vorrai visitare questa pagina: http://www.facebook.com/group.php?gid=57019178778&ref=ts ).

Quello che ti chiediamo è una risposta. Catania, quella che raccontava Pippo Fava, è una città difficile, ma ricca, una puttana, diceva lui. E’ una città che ha patito e che patisce, una città ignava, che accetta e cala la testa. Ma è anche una città fiera, che prova, come può, a rimettersi in piedi.

Una tua risposta costituirebbe un segno di rispetto e di incoraggiamento per questa popolazione, una popolazione che legge il tuo giornale e che vorrebbe che la propria città fosse raccontata da molte voci, libere e fiere.

 

 


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