Cosa c’è davvero dentro il Patto per la Sicilia Dalle strade ai depuratori, molte risorse vecchie

Esaltare il Patto per il Sud conviene a tutti. Da Roma al piccolo Comune, passando per il governo regionale: ogni livello della politica guarda al documento che contiene tutti gli interventi che si dovrebbero realizzare in Sicilia nei prossimi anni, come alla via di uscita dalla crisi. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi sostiene di aver investito nuove risorse sul Sud, quello della Regione Rosario Crocetta si vanta di averle fatte convogliare sull’isola, i vari sindaci si affrettano a mettersi sul petto le medaglie degli interventi assegnati ai loro Comuni. Carte importanti da spendere non solo sul territorio, ma anche alle successive tornate elettorali. Ma cosa c’è dentro il Patto siglato dal presidente del Consiglio ad Agrigento alcuni giorni fa? E quante risorse sono realmente nuove? 

Il Patto per la Sicilia contiene oltre mille interventi, distribuiti nei settori turismo e cultura, infrastrutture, sviluppo economico, ambiente e sicurezza. Un parco progetti del valore di 6 miliardi 343 milioni di euro. Di questi, secondo le previsioni, 5 miliardi 745 milioni di euro dovrebbero essere coperti dal Patto per la Sicilia. Ma a questo punto iniziano i distinguo. La fetta più importante della spesa – 2 miliardi 320 milioni – proviene dal Fondo di sviluppo e coesione 2014-2020, cioè il fondo statale destinato alle aree sottosviluppate (che fino al 2011 si chiamavano fondi Fas). La restante parte dovrebbe arrivare dai fondi europei 2014-2020 e dai fondi nazionali Pon 2014-2020.

Secondo Gaetano Armao, docente universitario ed ex assessore al Bilancio nella giunta Lombardo, si tatta di «risorse finanziarie già da tempo assegnate al territorio e presentati come se si trattasse di nuovi investimenti e finanziati dal Fondo di sviluppo e coesione (Fsc). La legge di Stabilità 2014 – spiega – ha stabilito che l’80 per cento della dotazione del Fsc sia destinata al Sud (drasticamente ridotta rispetto ai 100 miliardi di euro della precedente dotazione 2007-13), ma dei 30 miliardi disponibili (in gran parte utilizzabili solo nel 2018-19) ai patti per il Sud vanno solo 13,5 miliardi, mentre nulla si dice delle restanti risorse, già ridotte drasticamente da prelievi per iniziative disparate da parte del CIPE».

Una critica che trova d’accordo anche i sindacati. «Facciamo una premessa – puntualizza Franco Tarantino, segretario regionale del settore edilizia della Cgil – il Patto è utile perché fissa dei tempi e permette a diversi soggetti istituzionali di trovare accordi. Ma non parliamo di risorse economiche nuove, si tratta in larga parte di finanziamenti già stanziati in passato». Qualche esempio? «Nel Patto – prosegue Tarantino – trovano spazio molti depuratori per cui da anni sono stanziate ingenti risorse che i Comuni non hanno speso, motivo per il quale molti sono stati anche commissariati. O ancora, si parla della strada tra Caltanissetta-Agrigento, in cui i cantieri sono già partiti».

Rimanendo in tema di strade, anche Franco Spanò, segretario regionale della Cgil Trasporti, non mostra grande entusiasmo per il Patto. «Parlano della Catania-Ragusa che si realizzerà con fondi privati e altri finanziamenti; per l’autostrada Siracusa-Gela, pure questa inserita nel Patto, c’era stato uno stanziamento nel Fesr (fondo europeo sviluppo regionale) 2007-2013; mentre per la Nord-Sud Santo Setfano di Camastra-Gela erano previsti fondi dell’Anas». Opere che però non hanno visto la luce, con fondi esistenti che si bloccano o vengono dirottati altrove. «La Sicilia ha un deficit infrastrutturale che non si esaurisce minimamente con questi interventi – spiega Tarantino -, ma il nostro obiettivo adesso sarà incalzare i governi nazionale e regionale sui tempi, perché la burocrazia che ha bloccato molte cose non svanisce con una firma».

C’è infine una critica di più ampio respiro che ha a che fare con la promessa di sviluppo fatta da Renzi e Crocetta. «Non c’è niente di veramente nuovo – sottolinea il sindacalista Spanò – o si rispolverano opere vecchie o si fa manutenzione che è necessaria, ma se le risorse si frammentano non producono sviluppo». Tesi sostenuta anche da Armao. «Il patto per la Sicilia – attacca il docente – più che un programma di crescita e sviluppo è una lista di interventi, spesso già noti, finanziati con risorse in gran parte già stanziate per la Sicilia, senza una programmazione d’insieme, carenti di criteri territoriali di allocazione».

A chi, nella maggioranza di governo, racconta di un Patto per la Sicilia capace di risollevare il pil dell’Isola, Armao replica: «È emblematico di come, lungi dall’elaborare un programma di serio rilancio per un Mezzogiorno sempre più povero, deindustrializzato, marginale, invecchiato si utilizzano slogan (ricordate «il sud decolla») e facili scorciatoie finanziarie». «L’elenco delle opere – attacca ancora Armao – sembra solo una lista della spesa: senza una linea metodologica, affastellando micro e macro opere che sembrano messe lì dalle pressioni del potente di turno, che in gran parte utilizza risorse già assegnate dalla programmazione statale alla Sicilia. Insomma le stesse risorse che da anni dovrebbero essere spese sono riprogrammate allungando i tempi di realizzazione delle opere. L’intero piano di spesa manca del tutto di addizionalità delle risorse (le risorse aggiuntive non possono sostituirsi a quelle della politica ordinaria). In altre parole, lo Stato, da un lato ha sostanzialmente azzerato la spesa per la perequazione infrastrutturale, dall’altro utilizza l’FSC e i fondi strutturali per attenuare gli effetti di questo drastico contenimento finanziario. In tal senso – conclude – anche la Commissione europea, che ho personalmente interpellato, ha riconosciuto tale patologia riservandosi interventi nei confronti dell’Italia».


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